JOSÉ MOURINHO, LA STORIA DELL'INTER IN UN ABBRACCIO

Il tecnico portoghese compie oggi 54 anni, gli auguri di F.C. Internazionale

MILANO - "Ma io non sono mica un pirla". Bastò la prima conferenza stampa di José Félix Mourinho, con introduzione pure di un lemma in dialetto milanese, per capire che in Italia stava accadendo qualcosa di decisamente differente e di veramente unico. Una luce, uscita da quegli occhi furbi, un cortocircuito emotivo per il Mondo Inter, prima di tutto, e poi per l'intero Paese.

Una conferenza stampa memorabile, la prima di una lunga serie che riempirà di neologismi e analisi vere e profonde le pagine dei giornali e che, unita agli splendidi risultati del campo, dimostrerà come e quanto il tecnico portoghese abbia cambiato, volente o nolente, l'arte del coaching moderno. Dici Mourinho e parte il lungometraggio mentale dei ricordi, le immagini del Triplete e di tutti i successi. Incluso l'addio (anche se José è rimasto nerazzurro nel cuore), coinciso, con un incastro degno di un romanzo d'appendice, con il giorno più felice degli ultimi anni nerazzurri: la vittoria della Champions League 2009-10. Un abbraccio, in lacrime, a Marco Materazzi, un altro che ha sempre associato la sconfitta ad un piatto indigesto.

In quel fotogramma c'è tutta la filosofia del "Vate" di Setúbal: attaccamento, plasmabilità e un'umanità, tenuta volentieri in disparte, fortemente connaturata con un ardente e "profondo" senso del riscatto. Proprio dell'Inter. Figlio di un allenatore umile e per nulla fortunato, a cui aveva fatto da collaboratore ai tempi del Rio Ave Futebol Clube, Mourinho non ha mai nascosto di far leva sulla componente psicologica e sull'attitudine all'innovazione, entrambe espressioni diverse di un sentire prossimo all'estetica razionale. Trasformare se stessi, restituendo all'interlocutore soltanto gli scarti di un centrifugato massmediale che pochi sanno e hanno saputo offrire come lui, autentico "hombre de equipo".

"Abbiamo dimostrato che potevamo perdere questo derby solo con 6 giocatori, perché con 7 vincevamo uguale". Altra dichiarazione, stesso volto da "Special One", come è passato alla Storia. Era il 24 gennaio 2010, al tramonto di una stracittadina preparata alla perfezione, giocata a lungo in inferiorità numerica e dominata su tutti i fronti. Il modo migliore per confermare la supremazia interista nel campionato italiano, dal quale per sua stessa ammissione ha ricevuto tanto, e festeggiare il suo compleanno, che sarebbe caduto meno di quarantotto ore dopo i gol di Milito e Pandev. Oggi, superati i 50, Mourinho è un uomo consapevole di avere dato quanto si aspettasse al mondo del calcio, dal quale ha ricevuto altrettanto, specialmente all'ombra della Madonnina. Due scudetti conditi da significativi record, una Coppa Italia e, ovviamente, il titolo europeo, coronando il sogno di milioni di tifosi e della famiglia Moratti. Un figlio, Massimo, che gratifica gli insegnamenti del padre, a sua volta fiancheggiato da un condottiero-simbolo che risponde al nome di Helenio Herrera.

La Storia che si crea e si rinnova e, all'Inter, questo compito non poteva assumerlo nessun altro se non un personaggio sui generis, quale Mourinho è. Uno che ama attendere per poi lasciare il segno. E non importa se c'è voluto quasi mezzo secolo per incrociarlo. E non importa nemmeno che, rivivendo il film della finale di Madrid, le lacrime bagnino copiosamente i sorrisi. José ha saputo andare oltre anche in quell'occasione, come nel suo inimitabile stile, mostrando quanto sia fondamentale rivelare al mondo la propria natura senza celare le parti meno dolci. Non sarà un caso che il numero scelto per simboleggiare la persona nobile d'animo che arriva nei momenti difficili sia il 54, come le candeline sulla torta dietro la quale sosterà oggi il pluripremiato tecnico.

Una torta tonda quanto un abbraccio che lascia senza parole.

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Aniello Luciano

 

 


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