MILANO - Il traffico milanese della domenica, "nei giorni di manifestazione allo stadio Giuseppe Meazza", come scritto sui tanti cartelli stradali del quartiere di San Siro, non perdona. E quando il pomeriggio del 9 gennaio 2005, il sinistro di solito tremendamente preciso di Álvaro Recoba si stampa sul palo, qualcuno comincia a pensare che forse è uno di quei giorni in cui, come ti insegnano fin da piccolo, "la palla non vuole entrare". Forse.
Milano è una città veloce e in movimento, uno di quei luoghi in cui fermare il tempo sembra l'impresa più dura, e perderlo il peccato più grande. Al 41' di Inter-Sampdoria, dopo quel montante del "Chino", le ragioni per non restare intrappolati nel fiume di macchine meneghino potrebbero superare le residue speranze, che scivolano via insieme ai secondi del cronometro. In realtà, i motivi per restare incollati ai seggiolini del 'Meazza' sono ancora tantissimi, perché l'Inter sfugge a ogni logica e il primo a saperlo è il direttore e telecronista di Inter Channel Roberto Scarpini, che di cose pazze ne ha viste e in quei minuti concitati lancia un monito ai cuori nerazzurri: "Crederci è lecito".
Un mantra da ripetere dentro se stessi, quasi a scacciare la verità che il tabellone di San Siro offriva alzando gli occhi. L'Inter era sotto 2-0 in una partita che dimostrava una volta di più come, in quello sport meraviglioso che è il calcio, i pronostici e i calcoli servano esclusivamente ad essere smentiti. Pur in controllo della gara fin dalle battute iniziali, la Beneamata aveva visto i suoi numerosi tentativi murati o da una difesa ben ordinata, o da un superbo Francesco Antonioli, i due fattori che avevano tenuto a galla una Sampdoria poi brava e cinica a colpire in un paio di sortite offensive.
Stordita da un copione imprevisto quanto immeritato, l'Inter è rimasta in piedi, ha alzato la testa e forse compreso che le chiavi per ribaltare una situazione del genere potevano essere nel DNA nerazzurro. Ha aiutato certamente il talento di Recoba e la voglia incontenibile di Martins, i due giocatori, insieme a Karagounis, buttati nella mischia da Mancini per riscrivere l'esito del match. E la storia. Il suono di quel pallone infranto sul palo ha caricato l'Inter, anziché abbatterla. Pochi secondi dopo, il "Chino' serve 'Oba Oba", che sterza rapidamente verso il centro e con l'esterno ruba il tempo a difensori e portiere: il palo questa volta è amico, e fa carambolare la palla in rete, perché anche in quelle giornate no, se continui a crederci, poi il vento cambia.
Se a Madrid si dice che "90 minuti al "Bernabéu" sono molto lunghi", allora sei minuti al Meazza possono durare un'eternità. Il gol di Martins al 43' è una scossa per tutto lo stadio; chi si stava alzando si risiede, chi già ci credeva adesso ne è sicuro. L'incantesimo che proteggeva la porta blucerchiata è infranto, e nel primo dei 4' di recupero il nigeriano dell'Inter protegge di forza un pallone che poi mette a centro area in acrobazia: Vieri è lì e in girata, cadendo, fa 2-2. I due attaccanti nerazzurri compiono due gesti tecnici da campioni con una semplicità impressionante quasi senza rendersene conto, interessati prima di tutto nel completare una rimonta storica.
San Siro ruggisce, e il cerchio si chiude al 49'. Dopo aver ridato ossigeno e speranze all'Inter qualche minuto prima, Recoba si ritrova sul mancino un'altra palla, addomesticata e offerta da Dejan Stanković. Né il palo, lo stesso di qualche minuto prima, né la folta selva di gambe dei giocatori ospiti possono fare qualcosa: il pallone è destinato all'angolino basso, e lì si insacca; l'Inter vince 3 a 2. Chi sta già camminando sul piazzale, dal 2007 intitolato ad Angelo Moratti, si ferma sentendo il boato. Hanno il sospetto, fondato, di un qualcosa che Roberto Scarpini sapeva fin dall'inizio e ora, in sede di telecronaca, sta urlando a squarciagola. "Nulla è impossibile per questa Inter".
Alessandro Bai