MILANO - Due, tre, quattro parate decisive. Il pubblico di fede interista è incredulo quando uno spilungone di circa due metri proveniente da Udine battezza il suo primo derby della Madonnina (stagione 2012/13, quella delle 10 vittorie consecutive fra campionato e coppa) con una prestazione superlativa, proteggendo il prezioso gol di Walter Samuel fino al triplice fischio finale. Uscite effettuate con raro tempismo, tuffi plastici, prese sicure ma soprattutto un'invidiabile sensazione di tranquillità, quasi fosse una partita come un'altra e non la gara più attesa da chi vive sui Navigli. Eppure Samir Handanovič è sempre stato questo. Non per niente è l'erede di una famiglia originaria di Sanski Most, uno dei percorsi obbligati per chi dalla Bosnia-Erzegovina si è spinto a nord dell'Adriatico, nonché la "città dei nove fiumi".
E come il Lete cantato da Gabriele D'Annunzio in Meriggio, tipico manifesto del panismo ('Segno non mostra di corrente, non ruga d'aura'), anche il numero uno sloveno si è fatto negli anni professatore massimo dell'arte di saper attendere. L'animo mite ed equilibrato che compenetra con l'istinto di chi è nato e cresciuto in una terra segnata dai conflitti, nel ghetto, nel quartiere di Nove Fužine, fra il grigio delle case popolari e il verde delle colline sulle quali svetta il Castello di Lubiana. Un legame solido quanto quello instaurato con Slaviša Stojanovič, conosciuto quando questi allenava lo Slovan, che lo spinse a seguire il tecnico al Domžale, il club con il quale Handanovič esordì in 1.SNL alla soglia dei vent'anni. Giovane ma talentuoso, due aggettivi che fecero la gioia degli osservatori dell'Udinese: 7 gare in campionato, firma e sbarco in Italia.
Il Friuli, però, resta solo un punto di smistamento. I Pozzo lo girano in prestito al neopromosso Treviso. Sembra l'inizio di un'ascesa dirompente ma qualcosa, invece, s'intoppa. I biancocelesti, costretti a giocare lontano dallo stadio Tenni, patiscono il salto di categoria e Samir ne fa le spese, finendo in panchina dopo un tris di k.o., il primo a San Siro proprio di fronte all'Inter, per poi essere ceduto alla Lazio, dove chiude la stagione con una sola presenza, nell'incontro che chiuderà la serie A 2005/06. È un periodo negativo che Samir supererà giocando a scacchi con il padre e ripartendo dalla B, da Rimini. Anche qui acqua e calma, ideali per dare la decisa svolta di carriera e consentirgli di diventare il capostipite della nuova scuola dei portieri sloveni, di cui fanno parte anche Jasmin, cugino di Handanovič, e Vid Belec, uno scudetto Primavera in nerazzurro nel 2007. In bianconero Handanovič raccoglie l'eredità di Morgan De Sanctis e completa il processo di maturazione, ottenendo soddisfazioni personali (record italiano di rigori parati in una stagione, 6 nel 2010-11, e titolarità nella 'Squadra dell'anno AIC') e di team (un onorevole cammino in Coppa UEFA sotto la guida di Pasquale Marino, suo grande estimatore).
Sono questi risultati che gli permettono di raggiungere una big come l'Inter e un palcoscenico unico come la Scala del Calcio. Un traguardo strameritato. Per il resto, non è cambiato. Fra un salvataggio e l'altro, Samir è rimasto quello dei tempi di Lubiana: umile, freddo e di poche parole. Un numero uno in tutto e per tutto, in Italia come in Europa. D'altronde, ci vuole calma per ottenere le cose migliori, come le mani che difendono la Milano nerazzurra. E lui, 193 centimetri d'altezza, è lì in silenzio fra i pali, lo sguardo fisso sul tiratore avversario, pronto a rendere ancora più grande l'Inter.
Aniello Luciano