MILANO - Nella minuscola Flambro, in provincia di Udine, la signora Rosina Concina, vedova del dottor Cesare Giuseppe Frossi, viene raggiunta da una preoccupante notizia riguardo al figlio Annibale: il giovane ha iniziato a giocare per il Padova, che lo ha prelevato dall'Udinese. È il 1931 e Annibale è ancora minorenne: la madre, spaventata, chiama i carabinieri perché lo riportino a Udine, dove deve conseguire la licenza liceale. La strada del ragazzo era stata tracciata da tempo: sarebbe dovuto diventare medico, come il defunto padre. Cresciuto in una famiglia benestante, il giovane Frossi studiava a Udine quando aveva scoperto il pallone. Al collegio 'Bertoni' avevano preso a chiamarlo 'piè veloce', come l'Achille omerico, per via del suo scatto bruciante. E quando, nel 1928, lo aveva notato Toni Calderan, osservatore dell'Udinese, non c'erano stati dubbi: sarebbe diventato l'ala destra della squadra friulana.
Annibale cerca di nascondere la sua passione per il calcio alla madre, ma l'eco del suo trasferimento al Padova non gli lascia scampo e, riportato in Friuli dalle forze dell'ordine, è costretto a contrattare con la signora Rosina. Può continuare a giocare, ma senza interrompere gli studi.
Il servizio obbligatorio di leva lo allontana sia da Padova che da Udine, dove rimarrà comunque un simbolo, tanto che dopo la sua morte gli verrà intitolata una via vicino allo stadio 'Friuli'. Rapidissimo e dotato di un ottimo cross, Annibale si ispira all'idolo Giuseppe Meazza e fantastica di giocare insieme a lui nell'Inter. Di Frossi si inizia a parlare anche per via degli spessi occhiali con cui si presenta in campo, resi necessari dalla miopia: "I miei occhiali portano fortuna e, forse per merito di essi, comincio a godere di una certa popolarità", dice la giovane ala.
Il calcio gli evita un richiamo per la campagna d'Abissinia e, per volere di un gerarca abruzzese, Annibale passa all'Aquila, in Serie B. È il trampolino di lancio verso un sogno che sembrava irrealizzabile: l'Inter.
I nerazzurri lo prelevano 25enne e lo provano a Lucca, in un'amichevole raccontata così dal calciatore: "Il mio stato d'animo è indescrivibile quando mi si dice che giocherò assieme a Meazza, Demaria, Ferraris. Scendo in campo e il cuore mi scoppia, le gambe non sono più le mie...".
Anche Vittorio Pozzo si accorge di Frossi: dato che il neo interista è ancora iscritto al liceo, il CT punta su di lui come capitano della selezione formata per le Olimpiadi di Berlino '36. In Germania, Frossi è inarrestabile e trascina l'Italia al suo primo (e unico) alloro a cinque cerchi: segna 7 gol in 4 partite e domina il torneo.
Annibale è un uomo di parola, ha coraggio e crede nelle proprie idee. Quando la squadra olimpica viene ricevuta a Roma da Mussolini, lui è l'unico a non esibirsi nel saluto romano. E per mantenere la promessa fatta alla madre si iscrive alla facoltà di Legge. Si laurea nel 1941, dopo aver realizzato il suo sogno più grande: diventare campione d'Italia con l'Inter. Frossi, accanto a Meazza, vince infatti due campionati e una Coppa Italia contribuendo a scrivere la storia nerazzurra. Poi passa da Pro Patria e Como, prima di ritirarsi per dedicarsi esclusivamente al lavoro in Alfa Romeo.
Pochi anni dopo, quasi per caso, inizia ad allenare. E allora diventa per tutti il 'dottor Sottile', a causa degli occhiali e della preparazione al limite del maniacale. Amico di Brera e convinto difensivista, Frossi si rivela un grande innovatore variando il sistema puro con l'introduzione dell'attacco a 'M'. Inoltre, tiene una rubrica di tattica sul 'Corriere dello Sport' e collabora con 'Il Giornale' di Montanelli.
Quando smette di allenare, continua a scrivere, ma non accetta mai di lavorare in televisione, un mondo per lui troppo lontano. Muore il 26 febbraio 1999, per una polmonite, a Milano. La sua Milano, la città che per due campionati giocati in un'epoca lontana ha contribuito a dipingere di nerazzurro.
Davide Zanelli