MILANO - "Ho indossato tante maglie in Italia, le ho rispettate tutte. Ma l'Inter è stato il mio primo amore, il primo club che mi ha chiamato in questo Paese".
Quarantacinque partite possono sembrare nulla in confronto a una carriera intera. Non è il caso di Sébastien Frey, classe 1980, che a Inter Channel ha ribadito un pensiero semplice: ogni minuto giocato con la maglia nerazzurra ha lasciato il segno in maniera profonda. Tanto da convincerlo a far parte del progetto "Inter Forever" e di rimettersi i guantoni anche a 37 anni. Con orgoglio. Perché è passato un po' di tempo dal 1999, ma certe sensazioni non si dimenticano facilmente.
È una sera di maggio, l'"Olimpico" di Roma è strapieno e l'Inter di Roy Hodgson si appresta a scendere in campo. Non è il momento storico migliore per i nerazzurri, ma la distinta ufficiale di gara propone senz'altro interpreti notevoli: Roberto Baggio, Iván Zamorano e Ronaldo "O Fenômeno" contro Zdeněk Zeman e il suo 4-3-3 con Paulo Sérgio, Francesco Totti e Marco Delvecchio pronti a spaventare la retroguardia interista. Gli ingredienti per una miscela esplosiva ci sono tutti, e in quel cocktail si inserisce un nome nuovo: Sébastien Frey.
Al 63', sul 4-3 per i nerazzurri Gianluca Pagliuca si accascia e non riesce a proseguire, l'Inter ha bisogno di un altro portiere ma in panchina siede soltanto un ragazzo francese appena maggiorenne di Thonon-les-Bains, cittadina sul Lago di Ginevra che è la casa di una famiglia innamorata del calcio, i Frey. Il nonno André aveva già girato la Francia inseguendo un pallone, mentre il fratello più giovane Nicolas troverà una sistemazione in Serie A, al Chievo. Sceglierà di giocare in difesa, seguendo la tradizione di famiglia. Sébastien invece è diverso, esuberante, e sceglie di passare il resto della carriera tra i pali, "Gardien de but", come si dice al di là delle Alpi.
Per Frey la notte di Roma è la quarta partita con la maglia nerazzurra, e rimane forse la più emozionante. Anche perché, dopo il fischio finale, arriverà un attestato di stima difficile da dimenticare. "Passai in un attimo dall'esultare come un pazzo in panchina per ogni gol al difendere i pali. Una cosa pazzesca. A fine partita Bergomi venne da me e mi abbracciò: per un ragazzo giovanissimo come me non era stato facile", ha ricordato il francese.
Numero 22, un ribelle ciuffo biondo e tanta personalità: si presenta così, Sébastien Frey, elogiato da uno dei più grandi nerazzurri di sempre, Beppe Bergomi. Pescato nel Cannes, l'Inter aveva intravisto in Frey le stesse buone potenzialità che lo porteranno a essere uno dei migliori portieri della Serie A nel decennio successivo. Il suo valore emergerà completamente a Parma e a Firenze, dove sotto la guida di Cesare Prandelli si rivelerà un punto fermo di una squadra sempre dura da affrontare. Nei periodi di difficoltà, Frey si affida a un amico ereditato dai tempi nerazzurri, Roberto Baggio, che gli fa scoprire la religione buddista e una spiritualità che gli donerà forza ed equilibrio. Il resto lo farà la sua passione per il pallone, da Firenze passando per Genova e Bursa, splendida "città verde" dell'Anatolia occidentale, un'ultima tappa che gli darà gioie e dolori. In Turchia Frey arriva nel 2013 e trascorre un anno da assoluto trascinatore, alla scoperta di una terra che lo ha sorpreso; poi arriva un improvviso cambio di rotta, con un'esclusione mai davvero compresa nemmeno dagli stessi tifosi dei "Coccodrilli". Nel luglio 2015 Sébastien rescinde il contratto con i biancoverdi e a dicembre appende ufficialmente le scarpe al chiodo.
Lo fa in punta di piedi, senza clamore. Ha lasciato un buon ricordo ovunque, e già questo è un segnale da vero leader, dentro e fuori dal campo. E anche se la carriera di Frey ha preso strade lontane dal prato verde del 'Meazza', un pezzetto di Inter ha sempre viaggiato dentro di lui, in un cuore rimasto nerazzurro.
Bruno Bottaro