MILANO - Esistono dei momenti, nel percorso di ognuno, in cui sembra che la vita alzi l'asticella. Quando certi sacrifici non bastano più, per le soddisfazioni che si rincorrono, si può solo accettare di moltiplicare gli sforzi e semplicemente sperare che, anche se in ritardo, quel ritorno arriverà. Antonio Candreva lo sa bene. Fino al 2007, la sua carriera sembrava un crescendo quasi privo di ostacoli, il giusto premio per un ragazzo talentoso e umile.
Nato nel quartiere romano di Tor de' Cenci, giocò inizialmente nei pulcini dell'omonima squadra per poi passare, nel 1996, alla Lodigiani. All'epoca, Antonio è un ragazzino timido e buono, sì, ma chiamato "er puzza" dagli amici perché "mi arrabbiavo nelle partitine, non volevo mai perdere". C'è dentro tutta la dedizione che trovate ora in campo, positivo e propositivo, sempre a chiedere la palla per una delle sue giocate. Perché, al campetto o a San Siro, Antonio in campo vuole essere protagonista. Per diventarlo è necessario essere un professionista prima del professionismo e infatti Candreva è sempre stato tra i primi ad arrivare agli allenamenti e non lamentarsi dei sacrifici che sta per compiere.
Nel 2003, Candreva passa alle giovanili della Ternana. È la prima esperienza lontano da casa, vissuta in convitto insieme ad altri ragazzi, la sua famiglia sostitutiva. Il ragazzo cresce e impressiona: nel 2004 è in prima squadra, ci resterà fino al 2007 tra Serie B e C1. Poi arriva quella vetta, che è in realtà soltanto l'inizio di una lunga salita. A 20 anni Candreva è all'Udinese. La stagione successiva passa in prestito al Livorno, ma più che un'occasione è l'inizio di un peregrinare, in campo e fuori. In quattro anni vestirà, oltre alla maglia amaranto, quelle di Juventus, Parma e Cesena; sul rettangolo di gioco, Antonio si sposta tra il centrocampo e la trequarti sempre disponibile a offrire generosità in aggiunta a quella tecnica raffinata costruita in tanti anni di lavoro ma sostanzialmente costruita nei campetti della sua città, dove era già perfezionista.
Nel gennaio 2012, Candreva arriva alla Lazio nelle ultimissime ore del mercato, un momento in cui il destino sembra quasi ti voglia segnalare qualcosa, dirti che è giunta l'occasione giusta per svoltare davvero verso le vette del calcio italiano. Un segnale che Antonio coglie, non piegandosi nemmeno un po' alle prime difficoltà. Anzi, veicolando la propria determinazione fino all'obiettivo massimo: conquistare i suoi nuovi tifosi.
Il 7 aprile di quell'anno, la Lazio ospita il Napoli e dopo pochi minuti, Candreva esplode un destro potente che indirizza match e carriera. Il ragazzo, come in un momento di trance, come avesse capito che la strada giusta è stata imboccata, salta le barriere dei cartelloni pubblicitari e corre veloce verso la Nord, come si corre dalla persona più cara a raccontare una novità bellissima. Candreva, a 25 anni, ha finalmente trovato casa: alla Lazio resterà quattro stagioni e mezzo, apprenderà dai maestri Reja e Pioli ricompensandoli a suon di prestazioni e gol, vincerà una Coppa Italia e diventerà semplicemente "Sant'Antonio".
L'Inter, nell'estate 2016, pensa a lui. Per chi ha ambizioni di costruire una squadra vincente, il profilo di chi ha faticato, lottato e ottenuto è quello giusto. E poi c'è sempre quel destro, a sedurre tutti. L'impatto con il nerazzurro è certamente più morbido di quello avuto a Roma, ma Candreva, per presentarsi, sceglie il migliore dei biglietti da visita: il suo primo gol in campionato arriva nel derby (il destino, sotto forma di Dei del Football, non sceglie mai giorni a caso), con l'Inter in svantaggio, una situazione che "imballerebbe" le gambe di molti, ma non di chi ha già saputo andare oltre mille ostacoli, di chi non ha avuto paura ad abbandonare casa prestissimo per lanciarsi alla rincorsa di un sogno. Il pallone calciato da Candreva vola all'incrocio, l'esultanza che lo segue, a braccia aperte, rivela la gioia di chi ha aspettato la partita più importante per conquistare i suoi nuovi tifosi. Antonio si è preparato una vita per delle notti e dei gol così; per chi, come lui, non ha mai smesso di correre e lottare, la ricompensa alla fine arriva sempre. E si è, finalmente, vestita di nerazzurro.
Alessandro Bai