MILANO - L'uomo per mezzo del quale la squadra sviluppa la sua proposta offensiva e ritrova il suo equilibrio nella fase difensiva. L'uomo del passaggio quasi mai ad effetto ma sempre esatto. L'uomo della copertura fatta al momento giusto, figlia di una lettura razionale. L'uomo che potresti non vedere, se ti fissi esclusivamente sulla palla. Ma, come scrisse il commediografo brasiliano Nelson Rodrigues, l'osservatore che solo si fissa sulla 'bola', nel calcio, è il peggiore dei ciechi.
João Mário l'ha compreso e messo in pratica fin da quando ha messo gli scarpini, abbandonando la città natale di Porto per crescere nel miglior settore giovanile del Portogallo e tra i migliori d'Europa, allo Sporting. Ha compreso i valori del concetto di gioco di squadra, perché si posano sulle fondamenta solide di quelli di serietà e rispetto, trasmessigli dall'inflessibile mamma Lidia e dal padre, che si chiama lui pure João Mário. Quest'ultimo lo ha accompagnato, insieme al fratello Wilson, da Aurelio Pereira, il responsabile del settore giovanile dello Sporting, uno dei più abili talent scout del mondo. Mamma Lidia si sarebbe trasferita dal Nord a Lisbona e, da sportinguista, avrebbe preferito vedere i suoi figli in bianco-verde.
Allo Sporting, hanno l'occhio lungo, e in uno come João Mário intravedono subito qualità. Inizia nel ruolo di centrale difensivo, complice un fisico già piuttosto strutturato, poi, categoria dopo categoria, attraversa il campo con sempre ruoli diversi, anche per testimoniare quanto testé addotto relativamente alle sue capacità di leggere naturalmente il gioco. Talmente in maniera naturale, che da sempre João Mário ruba soprattutto l'occhio all'appassionato e al tecnico che vive di dettagli, piuttosto che al tifoso che si accontenta delle giocate ad effetto.
Luís Gonçalves, tecnico delle giovanili, lo convince a giocare da 6: in Portogallo, come in tanti Paesi di calcio, si lega il numero a un ruolo, e quel '6' identifica il 'mediocentro', il giocatore davanti alla difesa. Verbo non usato casualmente quel 'convince', perché João Mário, come possono testimoniare tutti i tecnici che ha avuto, a partire da quando è entrato, undicenne, nello Sporting, domanda sempre, si interessa, vuole capire. Si chiama passione per il gioco, volontà di comprenderlo e, quindi, intimamente, di rispettarlo. Giocherà anche da 8, da centrocampista a tutto campo, e da rifinitore, da 10, palesando sempre letture adeguate.
Quando incrocia l'Inter Primavera, ai quarti di finale della NextGen Series 2011-12, l'antesignana della Champions dei giovani, vinta poi dall'eccellente gruppo di ragazzi della 'cantera' nerazzurra guidato da Andrea Stramaccioni, João Mário gioca a centrocampo, e già risulta uno dei migliori in campo. L'occhio, ovviamente, lo ruba subito agli intenditori di calcio: tra questi Piero Ausilio, che nota dettagli da giocatori di enorme prospettiva. Il passaggio nella squadra B, gli fa immagazzinare altri concetti, ed è poi decisivo il prestito semestrale al Vitória Setúbal, nome di città e club che in tutti gli interisti fa vibrare non poco i cuori, pensando al Triplete del setubalense José Mourinho.
Nelle giovanili dello Sporting, il mantra è quello di produrre un calcio propositivo, quasi sempre offensivo ed efficace, come testimoniano gli svariati allori dell'Academia di Alcochete. Al Vitória, João Mário aggiunge altre conoscenze. Gioca, sotto la guida di José Couceiro, in ruoli differenti in una squadra che deve continuamente difendersi, che fa poco possesso e utilizza quasi sempre le armi della densità difensiva e della ripartenza veloce, quando non del purissimo contropiede. Inutile aggiungere i dettagli di come a Setúbal conquista tutti, tra prestazioni in campo e rispetto ed educazione, fuori. In sei mesi si sono gustati un marziano, ma è evidente che appartiene a un altro livello. E Casa Sporting lo riaccoglie prontamente.
Il tecnico Marco Silva lo impone come interno destro nel 4-3-3 e il Portogallo scopre uno dei centrocampisti-guida dei prossimi lustri. Le capacità di lettura superiori di João Mário lo aiutano anche nel passaggio successivo, quando ad Alvalade giunge Jorge Jesus con la sua opzione di calcio ultra offensiva e il 4-1-3-2 che agli odiati cugini del Benfica, sua precedente stazione, aveva prodotto titoli in serie. L'attuale numero 6 dell'Inter può sbizzarrirsi in diversi ruoli, giocando un calcio moderno che obbedisce solo a principi e non già a rigidi sistemi.
Un calcio di letture continue, un calcio perfetto per João Mário. Che ritrova quella formula nel Portogallo alla ricerca di un equilibrio differente dal solito 4-3-3 con la mancanza cronica di un centravanti di peso. Con Fernando Santos è un continuo cambio di posizioni, si obbedisce a compiti precisi non a ruoli predefiniti. E il Portogallo finalmente vince il suo primo alloro. La semifinale e la finale di Euro 2016 di João Mário sono da extraterrestre: pronto a fare una copertura, bravo a condurre palla (in occasione di una ripartenza frena il rientro di Paul Pogba con una spallata che è una delle polaroid del titolo portoghese), perfetto nel trovare il compagno a tempo e momento giusto, anche quando si trova in zona di rifinitura e consegna cioccolatini da numero 10 fatto e finito.
Arriva l'Inter per lui, una missione accolta con entusiasmo. Il saluto ai tifosi di sempre, quelli dello Sporting, è il solito, rigoroso, profondo, equilibrato e in fondo semplice: "Da oggi sono solo un tifoso dello Sporting, e lo sarò per sempre. Grazie di tutto". L'appassionato interista ha già speso per lui gli 'oooh' di ammirazione che a San Siro si riservano solo ai grandissimi. In campo, è facile riconoscerlo. È quello che fa sempre la cosa giusta.
Carlo Pizzigoni