MILANO - 149 presenze e 41 gol, cinque stagioni all'Inter, dal 1996/97 al 2000/2001, detto Bam Bam, nome per esteso Ivan Zamora Zamorano. Segni particolari: un colpo di testa micidiale. Una volta dice in un'intervista che per lui segnare è come avere un orgasmo, aumentando con un riferimento esplicito l'adorazione che hanno per lui le tifose. Sex symbol e lavoratore infaticabile, cileno, partorito dalla mamma su un autobus alla periferia di Santiago, il 18 gennaio del 1967. La notte della vittoria a Parigi contro la Lazio per la Coppa Uefa 1997/98 è molto sua, autore del primo gol (segnano anche Ronaldo e Zanetti). E' arrivato col numero 9, ma poi l'ha dovuto passare a Ronaldo, così ci si inventa quella maglia 1+8, un 18 ufficiale, ma per gli interisti è un altro 9. Se n'è andato quando ha capito di non essere più necessario, un giorno d'inverno, in un mare di lacrime.
"Dopo l'Inter ho fatto due anni in Messico, e poi sono stato sei mesi a giocare per il Colo-Colo in Cile, che era la mia squadra del cuore in Sud-America. E poi ho smesso, ho detto addio al calcio e iniziato la mia attività. Mi occupo di sport, di salute, di educazione, sto lavorando anche per l'Università". E' tornato a casa, a Santiago del Cile, ma va spesso a Buenos Aires. Con buona e definitiva pace di tutte le tifose che lo hanno adorato, Ivan è convolato a giuste nozze con un'argentina. Tre figli, Blu, 16 anni, Mia Pascale, 8 e Ivan de Maria, 6. "Il più grintoso, e quello lo ha ereditato da me, è l'ultimo. Gioca già a calcio, per il momento è davvero solo un gioco, lasciamolo divertire".
Uno sguardo al passato e un giorno da scegliere in nerazzurro.
"Difficile dire il giorno più bello all'Inter, forse la notte di Parigi, la vittoria in Coppa Uefa, ne ero stato anche protagonista. Sì, scelgo quello. Io sono un uomo davvero grato a tutte le squadre in cui ho giocato, ma con l'Inter ho un legame particolare, anche per quella tifoseria incredibile. Io devo dire grazie a Massimo Moratti per cinque anni meravigliosi che non finiscono, ogni volta che torno in Italia tutti mi fanno sentire a casa".
Cinque anni...
"Sono andato via tanti anni fa e mi sembra di non essere mai andato via. Non mi è successo a Madrid, neanche al Colo-Colo, mi ricordo che quando sono andato via, la Società mi ha reso omaggio. Giacinto Facchetti mi aveva dato la maglia, avevo quella nove trasformata in un 1+8, e mi ha chiamato la curva. Quel percorso dal centro del campo a sotto la curva che chiamava il mio nome è stato incredibile, piangevo come un bambino, è stata una cosa fantastica, sentivo qualcosa dentro di me di incredibile. Non mi è successo da nessun altra parte".
Un rimpianto?
"Non aver mai lavorato all'Inter! (ride, n.d.r.)".
Un pronostico per il Mondiale?
"Se non vince il Brasile, ci spaccano a tutti! E' il favorito, ma poi ci sono Spagna, Germania, Argentina e dopo ancora Italia, forse il Cile, la Colombia. Il Mondiale va giocato, puoi dire quello che vuoi, ma le partite non si vincono per la storia che hai dietro le spalle, o per la maglia che porti: il Mondiale ti aspetta, è uguale per tutti, si gioca partita dopo partita e spero che la sorpresa sarà il Cile".