NEL SEGNO DEL 4

Diciannove stagioni, sedici titoli, dieci motivi per non smettere di raccontare una delle serate più emozionanti di una storia chiamata Inter

1/21

MILANO - Il 10 maggio 2014 non è più un giorno qualunque, ma il giorno in cui Javier Zanetti per l'ultima, definitiva volta mette i piedi da giocatore sul campo di San Siro. Lo storico numero 4 dell'Inter, diciannove stagione e sedici titoli, gli stessi del suo presidente Massimo Moratti, è il motivo del tutto esaurito, curva esclusa da squalifica. Verissimo, esiste la partita, Inter-Lazio. Ma anche questa potrebbe essere inclusa in un fluire della vita. La Lazio primo trofeo europeo in UEFA a Parigi, la Lazio ultima rivale. In mezzo, l'uomo dei record. Il ragazzo diventato uomo o l'uomo rimasto ragazzo, scegliete voi, questo è Javier Adelmar Zanetti a quarant'anni.

Maestro di cerimonia, ruolo dovuto non solo per la doppietta, ma anche perché col Chievo sarà squalificato, è Rodrigo Palacio, ma tutti, fanno il loro in questo San Siro che ricorda per pubblico i derby migliori o le Champions di Mourinho. Nel segno del 4, quattro saranno le reti. Segnerà Mauro Icardi, la regia della cerimonia sarà spesso affidata a Kovacic, e la conclusione di questa partita che aveva un profeta nel cuore, sarà di Hernanes, sacerdote di correttezza, che non esulta di fronte ai suoi compagni di squadra solo di pochi mesi fa.
Intanto che l'Europa diventa sempre meno uno spettro, si rivede il vero numero 4 in campo. Anche se non corresse, come invece fa, anche se solo respirasse, l'ovazione è totale.

Scrivere oggi è sfidare una patetica ripetitività di elogi, ma ci sono dieci buoni motivi per farlo. 
Il primo, è che Javier è invecchiato insieme a noi come nessun altro capitano nerazzurro ha mai fatto.
Il secondo, che ha davvero sofferto e gioito oltre ogni limite con noi, e siamo davvero tutti fortunati, perché un Triplete, con quello che è seguito, capita molto raramente nel calcio mondiale.
Il terzo è che nella sua straordinaria normalità, testimoniata in quella splendida famiglia, e in quella faccia arricciata nel non voler commuoversi, e non riuscirci, era esattamente come tutti noi.
Il quarto è che se a quarant'anni hai ancora delle gambe che potremmo definire le colonne del calcio, ha un senso ridimensionare il valore del denaro e ricondurlo a temi più alti.
Il quinto, è che quando rappresenti un sogno, devi essere degno di farlo.

Il sesto è in quei capelli così uguali nel tempo. Un segnale di coerenza.
Il settimo è che Javier Zanetti non ha mai dato un titolo alla stampa, e si dovrebbe imparare. 
L'ottavo è che l'empatia, fra esseri umani, è un mezzo potente di comunicare. E lui, alla fine della sua carriera così unica, era come noi. Felice e affranto, commosso e forte.
Il nono è che ha chiamato con lui Esteban Cambiasso, Walter Samuel, Diego Milito, dei giganti della nostra storia che forse chissà, abbiamo salutato anche loro, ma non si è dimenticato di Luca Castellazzi.
Il decimo sta in quell'essere il testimone di un'Inter, uno stile Inter, fatto di ricordi e vita vissuta, una vita ad alto rischio, contro le mediocrità del mondo, che lo rende un'icona.
Scusate se è poco, e scusate se si può appaiare solo a quella di Massimo Moratti.


 English version  Versión Española  日本語版  Versi Bahasa Indonesia 

Carica altri risultati