WALTER MAZZARRI INCONTRA IL CSI

Nel centro di Milano si è svolto l’incontro tra il tecnico nerazzurro e gli allenatori e i dirigenti delle società del Centro Sportivo Italiano

MILANO - "I miei inizi furono a San Vincenzo, a 14 anni mi prese la Fiorentina che poi mi mandò a Follonica a fare esperienza perché ero piccolino di statura.
La carriera da giocatore non piacque molto, le doti naturali c'erano ma mancava il carattere adatto. Per diventare giocatore vuol dire tirar fuori qualcosa di più del semplice giocare. La mia fu una carriera passata anche per le scuole, una cosa non comune. Mi mancavano 8 esami per finire Economia e Commercio", queste le parole d'esordio di Walter Mazzarri sul palco che lo ha visto protagonista dell'incontro con gli allenatori e i dirigenti del CSI.

"A 28-29 anni pensai di smettere, oltretutto venni fermato da un serio infortunio. Pensavo già di fare l'allenatore, lo trovavo un lavoro affascinante.
Rubavo qualcosa da chi mi allenava, poi nei miei ultimi anni di carriera un tecnico mi volle perché gli serviva un 'allenatore in campo'. Ora sono felice e realizzato, faccio quello per cui credo di essere realmente portato, quello che davvero mi piace e sento di poter far bene.

Dietro un ruolo c'è sempre un uomo: guardate Ulivieri. E' un uomo di cultura, in gamba, intelligente. Una persona di spessore, al di là dell' essere riuscito ad andare avanti nella carriera. A noi interessa l'uomo, l'aspetto umano.
Mai un esonero, il segreto? Intanto fatemi fare gli scongiuri (sorride, ndr). A certi livelli è un lavoro davvero difficile, sono stato in piazze dove i presidenti erano noti come dei 'mangia allenatori'... ma un allenatore cerca anche la soddisfazione per l'azienda che lo paga: vuol dire che ha fatto tornare i conti, la vera soddisfazione per un allenatore è quella.

Alla presentazione del mio libro dissi che la scelta di non accompagnare mio figlio nella crescita è stata sofferta. Quando lui aveva a 6 anni io ero già in Sicilia all' Acireale, ed era giusto che lui non cominciasse a girare come dovevo fare io, figuratevi che l'allora presidente Pulvirenti aveva cambiato qualcosa come quindici allenatori in tre anni... . E' stata una cosa che ho patito. Ho scritto il mio libro per lui, perché si rendesse conto del perché suo padre non gli sia stato vicino. Non cerco un modo per scusarmi, voglio solo che se ne renda conto: suo padre era a lavorare anche per lui".

In sala sono presenti gli allenatori della squadre che partecipano alla Junior TIM Cup, scorrono le immagini più belle della manifestazione: 'Sono belle cose. Dobbiamo creare i giusti stimoli per questi ragazzi, al di là di quello che noi professionisti possiamo trasmettere. Cercare di essere esempi positivi non è sempre facile, siamo sempre sotto pressione, bisognerebbe cercare di mandare dei messaggi diversi. La competizione comunque è la base della vita, questo loro lo capiranno. A volte noi andiamo un po' oltre, ma certe cose non vanno sempre bene, spero che i ragazzi lo capiscano.

Se penso a un oratorio mi viene in mente il bello dello stare insieme per i ragazzi. E' chiaro che uno gioca anche per vincere, ma nello sport lo stare insieme e anche la solidarietà sono fondamentali. Come il rispetto, che è ciò su cui si fonda ogni rapporto di squadra. Una cosa, come il rispetto delle regole, che inizia dai campetti. Ecco perché gli allenatori dei ragazzi, oltre che ad avere le qualità tecniche, devono saper trasmettere anche quello ai ragazzi. La vittoria parte da lontano, da queste piccole grandi cose che fanno la differenza.

E' vero che si investe poco sui giovani, è un momento economicamente difficile per l'Italia in generale, che si riflette anche nel calcio. Per questo bisognerebbe investire anche nei settori giovanili per far crescere i ragazzi che abbiamo in casa. Purtroppo siamo un po' esterofili, mentre in Italia ci sono delle risorse pazzesche. Basti dire che a tutti i bambini piace il calcio: bisognerebbe potenziare i nostri settori giovanili investendo su bravi istruttori, che a certe età sono fondamentali, per far crescere il giocatore tecnicamente e umanamente.

Per quanto riguarda l'allenare ragazzi con un carattere difficile, ai miei livelli un allenatore pensa di poter dare qualcosa per far migliorare anche i professionisti. Il calcio è uno sport di gruppo, quello che conta è ciò che un ragazzo può portare negli spogliatoi. Tutto si ripercuote sul risultato di squadra e sulla squadra in generale. Per un istruttore è bello poter far migliorare un ragazzo definito 'dal carattere difficile'. Mi paragono a un maestro di scuola: traggo soddisfazione dal poter trasmettere qualcosa ai miei alunni.

L'integrazione è importante, a partire dalla lingua: spesso usiamo un interprete, ma io nel valutare a nel conoscere i giocatori sono abituato ad avere confronti individuali, per creare empatia attraverso un contatto immediato. Cerco subito di entrare nella testa del ragazzo per capire cosa gli serve per star bene, le sue differenze d'abitudini. Il dialogo personale aiuta tanto, raffrontato alle regole generali e collettive che tutti devono rispettare. I professionisti sono abituati, gli istruttori hanno un compito più complicato trovandosi insieme a dei bimbi.

Quando allenavo la Primavera del Bologna c'erano dei problemi magari tra giocatori e famiglia, a certe età l'allenatore ha grandi responsabilità, spesso diventa la figura di riferimento dei ragazzi perché ci sta insieme anche più delle famiglie: l'allenatore deve comportarsi come un padre, per trasmettere ai ragazzi valori importanti, come l'essere uomini nel rispettare il compagno.
Quando sostituisci un giocatore, questi non è mai contento, ma è una cosa che succede a tutte le età: se fate un gestaccio all'allenatore non lo fate a me, ma al compagno che entra. Magari a volte i ragazzi non ci pensano. Quindi la parola su cui si fonda il principio di gruppo è rispetto: bisogna essere tutti coerenti a dimostrarlo nel quotidiano, attraverso quello che si dice, che si trasmette, che si fa.

Il rapporto con i miei collaboratori è fondamentale, soprattutto da quando sono arrivato a certi livelli, tutti loro sono essenziali. Ora non potrei più farne a meno. Fino a certe categorie è diverso, ma poi cambia tutto il mondo che hai attorno, per questo devo avere dei collaboratori di cui mi fido. Le decisioni poi le prendo io, ma da parte loro ho bisogno di un lavoro a 360°, tale per cui io possa risolvere il problema in poco tempo. Loro sono molto bravi, lavorano fino a tardi e la mattina sono in ufficio prestissimo.


Di errori ne ho fatti. Ma occorre fare un distinguo tra quello che dici alla stampa e quello che dici a te stesso. Ad esempio una volta mi confrontai con Frustalupi, oggi mio secondo, durante una partita: stavamo giocando bene, ma non facevamo gol, ci confrontammo e si decise di togliere una punta e mettere un centrocampista. La squadra iniziò a giocare peggio, lui difese la scelta, io gli dissi 'se fai così non diventerai mai un allenatore'. Avrei dovuto dirgli 'abbiamo sbagliato il cambio', perché era una scelta fatta insieme. Io posso sembrare il contrario di quello che sono davanti alle telecamere, ma se parlo così è perché sono stato autocritico con me stesso prima di tutto. 

Quando allenavo in C2, c'era un giocatore importante che non facevo giocare. Questo giocatore mi fece notare che non guardavo dei ragazzi che non giocavano molto quando il presidente faceva le visite alla squadra. Allora mi scusai subito con lui e lo ringraziai di avermelo fatto notare, convocai immediatamente una riunione e dissi: 'Starò più attento a chi non gioca, quando guarderò le partitelle nemmeno il presidente distoglierà la mia attenzione dall'allenamento'. Poi dovetti dire al presidente di non venire più in orario allenamento perché sarei stato costretto a non salutarlo. Quando sbagli lo devi ammettere con serenità, è una cosa fondamentale per il gruppo. Se difendi qualcosa dove tutti hanno capito che hai sbagliato, perdi credibilità di fronte ai tuoi ragazzi, di fronte al gruppo.

Allenare in oratorio per un giorno? Mi farebbe piacere, anche se le formazioni le sbaglio sempre (sorride, ndr). Se ci sarà la possibilità, volentieri.

Come si fa a rendere il calcio di oggi un po' più bello? A volte si esagera nella ricerca della vittoria e del risultato, in Italia abbiamo questa cultura che porta a degli eccessi. Chi va sugli spalti può restare deluso e quindi si sentono cose brutte. Andare allo stadio sembra voglia dire andare a sfogare rabbia accumulata, bisognerebbe migliorare, partendo anche da fuori dai cancelli, perché nello stadio può andare a finirci chi ha una vita difficile fuori. Gli oratori sono dei luoghi dove si viene educati ai valori importanti, da lì si parte per costruire. Dentro lo stadio è già tardi, bisogna iniziare prima: ce ne vorrebbero di più di posti così.

La conclusione è dedicata ai ringraziamenti per l'invito ricevuto dal CSI: "Io vivo di cose semplici, il contatto con la gente mi piace sempre, vi ringrazio di avermi invitato: parlare così con tranquillità fa sempre crescere".



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