MILANO - Il 3 marzo 2007 ci lasciava, all'età di 81 anni, Benito 'Veleno' Lorenzi. Era un sabato mattina e l'Inter, di lì a poco, sarebbe scesa in campo al 'Picchi' di Livorno. Quel giorno la vittoria non poteva che essere dedicata a lui.
"Benito Lorenzi appartiene a quella categoria di giocatori particolari, quelli che sono pieni di genio e fantasia. La gente lo adorava anche per le sue estrosità. Fu amato da molti e detestato da pochi, fu un grande personaggio dell'Inter del secondo dopo-guerra", così lo ha ricordato Candido Cannavò, e l'Inter lo ricorda oggi, per il suo senso di appartenenza alla famiglia nerazzurra, per la sua carriera di funambolico, leggendario, attaccante di un calcio romantico ed eroico, quando con l'Inter vinceva (2 scudetti 1952/'53 e 1953/'54) e segnava (143 reti in 314 partite). E lui in campo per gli avversari era 'Veleno', ma per molti, quando la partita finiva e le polemiche si placavano, era anche un grande amico.
'Veleno', soprannome che però non era legato alla sua avventura sportiva: gli era stato dato quand'era bambino dalla mamma Ida. In un primo momento non gli piaceva essere chiamato così, ma poi a un certo punto ci prese quasi gusto, e per gli avversari divenne un monito a trattarlo col dovuto rispetto. Lui era 'Veleno'.
Il rivale di Lorenzi sia nell'Inter sia in Nazionale, Amedeo Amadei, lo descrive così: "Dentro al campo lui di solito provocava tutti e alcuni si arrabbiavano, dandogli qualche calcio in più del lecito. E questo a volte li faceva espellere. Era un po' un toscano...".
Campione di classe straordinaria prima, scopritore di talenti come allenatore del Settore Giovanile poi. Una leggenda, 'Veleno', al di là dei suoi modi spesso un po' bruschi. Ma noi l'abbiamo amato anche per questo.