MILANO - Un guerriero e un punto di riferimento. Nicolás Andrés Burdisso ha imparato a esserlo ad Altos de Chipión, 1500 abitanti e un campanile sperduto nella campagna argentina. È un paese figlio dell'orgoglio indigeno, quello dei cacique, i capi tribali che nei primi anni del diciannovesimo secolo fondarono Fortín Chipión. Volevano difendere la cittadina con quel poco che avevano, e lo fecero con valore. Non sapevano che in qualche modo, tra i loro discendenti, la famiglia Burdisso ne avrebbe continuato la tradizione.
Figlio di Enio, insegnante di educazione fisica ed ex calciatore dell'Instituto di Córdoba, Nicolás ha scritto la sua storia con il pallone lontano da casa, a Rosario e a Buenos Aires, luoghi dove carisma e personalità sono caratteristiche fondamentali per un calciatore, oltre che per un uomo.
E lui, Nicolás, di grinta ne ha da vendere. Lo hanno capito subito al Newell's Old Boys, un'altra eccellente scuola del fútbol argentino. Dopo due anni nel vivaio dei "Leprosos", tuttavia, il ragazzo di Altos de Chipión viene scartato. È un momento di fatica e riflessione che Nicolás supera grazie a ciò che sa fare meglio: sudare, soffrire, combattere. Va a Baires, passa un provino per il Boca Juniors e viene accolto all'ombra della 'Bombonera', quella cattedrale maestosa che aveva visto soltanto in televisione, accarezzando nella mente il desiderio di poter giocare lì, un giorno. Lo farà, alla grande.
Due campionati, tre trionfi in Copa Libertadores e due Coppe Intercontinentali gli valgono il pass per l'Europa, dove ad accoglierlo ci sono gli 80mila seggiolini del "Meazza" e l'Inter. Dal 2004 al 2009 Burdisso è una certezza nello spogliatoio nerazzurro, in un percorso che lo vede presente nel ritorno della Beneamata allo Scudetto. Da Mancini a Mourinho, quella che scende in campo è sempre una squadra davvero straordinaria e vincente, e Nicolás ne è uno dei membri più carismatici, conquistando quattro scudetti, due Coppe Italia e quattro Supercoppe nazionali.
"All'Inter ho trovato un ambiente sereno e positivo", ricorda l'argentino sul suo sito ufficiale. "Ho condiviso lo spogliatoio con campioni stratosferici, persone in realtà umili e semplici. In quel periodo l'Inter era davvero una squadra imbattibile." Il cordobés lascia il segno con più di 100 presenze e otto reti, quattro nella sola Coppa Italia 2006/2007 con una doppietta negli ottavi contro il Messina: due gol di testa, una delle sue specialità. Vive emozioni indimenticabili, come quella di essere l'ultimo giocatore a indossare la maglia nerazzurra numero 3, quella di Giacinto Facchetti, poi ritirata, ma anche momenti personalmente difficili, come la malattia della figlia Angela. Ne è uscito grazie all'affetto di tutti, a partire da quello dei tifosi (da brividi gli applausi del "Meazza" al suo rientro in campo con il Livorno nell'ottobre 2005) e con l'aiuto della scrittura, come ha raccontato a Massimo Cecchini in un'intervista alla Gazzetta dello Sport: "C'è una frase di Murakami che dice: 'Per capire le cose che mi succedono devo scriverle". E così ho buttato giù la storia della mia vita. Ho fatto leggere qualcosa solo a mia moglie, Maria Belen. Scrivere mi ha aiutato a riflettere."
Ha sviluppato una sensibilità differente, Nicolás, e quella gli è rimasta per il resto della sua carriera. Anche lontano da Milano, come quando nell'estate 2009 lascia l'Inter. Prima va a Roma (dove condividerà lo spogliatoio anche con il fratello minore Guillermo) e poi a Genova, sponda rossoblù. Anche all'"Olimpico" e al "Ferraris" non ha mai smesso di lottare, perché il suo spirito lo pretende. Per un ragazzo di Altos de Chipión, è naturale così.
Bruno Bottaro