MILANO - "Sento la maglia nerazzurra addosso". Così Luciano Castellini, professione portiere, aveva definito nel 2015, in un'intervista alla "Gazzetta dello Sport", il suo rapporto con l'Inter, il club per cui lavora dalla fine degli anni Ottanta. Il "Giaguaro", come tutti lo chiamano, però la maglia della Beneamata non l'ha mai indossata. Almeno da giocatore. In 15 anni di Serie A, con più di 400 presenze, infatti Castellini ha vestito solo il granata del Torino, con cui ha vinto la Coppa Italia 1971 e lo scudetto 1976, e l'azzurro del Napoli, club in cui ha militato dal '78 al 1985 stabilendo il record di imbattibilità casalinga (ancora ineguagliato) per un portiere di Serie A (1188 minuti) e venendo votato dai tifosi partenopei come miglior "numero uno" della storia del club. Ma se Luciano non è mai stato un calciatore dell'Inter, ha sempre avuto il cuore nerazzurro. Da quando, ancora ragazzo, lui nato a Milano nel 1945 ma cresciuto a Menaggio, era il vicepresidente dell'Inter Club del paese affacciato sul Lago di Como e partecipava ai tornei locali con la maglia di una squadra che portava lo stesso nome della Beneamata.
Un amore duraturo che, dopo anni di sfide da avversario, ha trovato il suo coronamento nel 1988, quando l'allora dirigenza dell'Inter chiese a Castellini, ritiratosi da qualche anno, di occuparsi dei portieri nerazzurri. Da quel giorno, in pratica, la sua vita si è divisa tra Appiano Gentile e Interello. Ha messo a disposizione sia dei ragazzi delle giovanili che dei campioni della prima squadra la sua esperienza, le sue conoscenze tecniche (e un occhio da fine talent scout di numeri uno come quello del Giaguaro non lo trovate in giro), ma anche e soprattutto le sue straordinarie doti umane. Castellini è un tecnico capace di insegnare e di educare, soprattutto al sacrificio, quella dote che, da calciatore, gli aveva permesso di diventare idolo dei tifosi ed esempio per i compagni. Sotto le sue mani e i suoi occhi sono passati, a vario titolo, i grandi numeri uno della storia recente dell'Inter. Da Walter Zenga, quello che Castellini considera il suo pupillo, a Francesco Toldo, passando per Gianluca Pagliuca, Sébastien Frey e Júlio César. L'"Acchiappasogni" brasiliano, in realtà, non è mai stato allenato da Luciano, che però ha avuto un ruolo decisivo nel suo approdo in nerazzurro: inviato da Giacinto Facchetti in Brasile per osservarlo, ne scrisse infatti una relazione entusiasta.
Castellini è stato un prezioso collaboratore per tutti gli allenatori nerazzurri e, a sua volta, in due occasioni è stato chiamato a sedere sulla panchina della prima squadra. La prima volta fu nella primavera del 1997 quando, dopo la bruciante sconfitta nella finale di Coppa UEFA contro lo Schalke 04, l'allora allenatore Roy Hodgson si dimise e il presidente affidò la squadra al "Giaguaro". L'ex portiere raccolse quattro punti in due partite, esordendo, scherzo del destino, con una vittoria per 3-2 contro il suo Napoli e mantenendo il terzo posto. La seconda fu nel marzo 1999, con Castellini che traghettò la squadra per quattro match dopo l'esonero di Mircea Lucescu, prima di essere sostituito da Hodgson. Due parentesi, sei partite, chiuse in perfetto equilibrio tra vittorie, sconfitte e pareggi, dopo le quali il "Giaguaro" tornò all'incarico che ricopriva da anni: seguire i portieri, tra giovanili e prima squadra. Poi il ruolo di osservatore, quello che ricopre tuttora e in cui ha dimostrato ancora le sue capacità portando in nerazzurro, oltre a Júlio César, anche Vid Belec, attuale portiere del Carpi e nel giro della Nazionale slovena, o Andrei Ionut Radu, promettente estremo difensore, classe 1997. Un altro talento, l'ennesimo, messo da Castellini a disposizione dei colori nerazzurri, quelli che il "Giaguaro", nonostante non li abbia mai indossati da calciatore, ha sempre amato. Un interista vero.
Roberto Brambilla