MILANO - Lo scrittore americano Joseph Campbell definiva eroe "un normale essere umano che fa la migliore delle cose nella peggiore delle circostanze". In effetti, l'eroe si definisce in molti casi durante l'atto stesso, emergendo ed esaltandosi nel momento in cui la storia sembra già scritta. Come nella vita, anche nel calcio esistono situazioni che paiono irrecuperabili. Il 27 febbraio 2008, al minuto 88' di Inter-Roma, il cronometro scorreva inesorabilmente, forse troppo veloce per far credere agli oltre 50mila spettatori di 'San Siro' che ci fosse ancora spazio per un ribaltone. I nerazzurri, campioni d'Italia, erano sotto 1-0 contro i rivali che gli avrebbero conteso lo scudetto fino all'ultimo respiro.
Nonostante un paio di gesti tecnici sopraffini di Hernán Crespo, infrantisi contro il palo e il portiere Doni, l'Inter non era riuscita a trovare la via del gol, e guardava avvicinarsi la prima sconfitta stagionale in campionato. Dopo il pareggio interista della giornata precedente a Genova, vincendo al 'Meazza' i giallorossi avrebbero potuto recuperare ben cinque punti in appena due turni, ritrovandosi così a sei lunghezze dalla capolista con ancora tante partite da giocare.
Difficile trovare nel torneo nerazzurro un momento più pesante e complicato. L'Inter, alle prese in quelle settimane anche con gli ottavi di finale di Champions League contro il Liverpool, perde diverse pedine importanti. In particolare, nell'incrocio chiave con la Roma, la 'Beneamata' deve rinunciare a Walter Samuel, Iván Ramiro Córdoba e Zlatan Ibrahimović, colonne portanti di una squadra che fino a quel punto aveva imposto a quasi tutti la propria legge, senza mai piegarsi. Gli indizi, in quella sfida, non erano però positivi. A metà ripresa, coi giallorossi già in vantaggio, l'Inter si ritrova in 10 per l'ennesimo infortunio: è Maxwell ad alzare bandiera bianca con i tre cambi già effettuati (con la parità numerica ristabilita solo all'84' con il doppio giallo a Philippe Mexès). Il popolo interista, che ha le coronarie allenate e una fede incrollabile, scruta speranzoso il campo in cerca di un segnale. Eppure, come spesso capita, l'eroe non anticipa e non lascia presagire nulla.
Come nella migliore delle trame, per il suo intervento bisogna aspettare quell'istante in cui tutto sembra perduto. La peggiore delle circostanze, appunto. È l'88' e soltanto pochi secondi prima il portiere romanista ha, ancora una volta, abbassato la saracinesca. Calcio d'angolo, l'Inter schiuma rabbia. Sugli sviluppi di quel corner e della successiva rimessa laterale, il cross di Burdisso viene allontanato di testa, ma cade poco fuori dall'area di rigore, sui piedi di Javier Zanetti. Lui, con l'immancabile fascia di capitano al braccio, 11 gol in 12 stagioni e mezzo di Serie A fino a quel momento, non avrà 'né lo spunto della punta, né del 10' come canta Ligabue, e forse proprio per questo è il candidato perfetto per essere l'eroe che cambia le sorti di una notte così.
Javier addomestica la palla, la porta avanti in mezzo a due avversari, e poi calcia. Il suo destro è una parabola dolce e precisa, compagni e avversari la guardano atterrare direttamente oltre Doni, nell'angolino basso. La corsa di Zanetti è verso il centrocampo, liberatoria e senza una vera meta, come se avesse scoperto lui stesso in quegli istanti di essere l'eroe dell'Inter, nel momento più difficile. Quella rete, l'ultima in Serie A dell'argentino, alla fine sarà decisiva, perché l'Inter si assicurerà il Tricolore, conteso dalla Roma, per pochi punti e per una questione di istanti. Quelli in cui un normale, e allo stesso tempo unico, essere umano scelse la peggiore delle circostanze per fare la migliore delle cose.
Alessandro Bai