MILANO - "Ho il centravanti per voi". Giulio Cappelli, nel '56, era in Sudamerica per vedere Ernesto Cucchiaroni per conto del Milan, ma durante una partita del Boca Juniors il suo occhio fu rapito da un altro calciatore, un attaccante di nemmeno vent'anni. Cappelli, che dal suo maestro Vittorio Pozzo, grazie al quale aveva esordito e vinto nell'Olimpiade di Berlino '36, aveva ereditato un fiuto speciale per il talento, non ebbe dubbi: quel ragazzo era il centravanti perfetto per l'Inter di Angelo Moratti.
Si chiamava Antonio Valentín Angelillo e veniva dal quartiere Parque Patricios di Buenos Aires. Amava il tango, venerava il dio Gardel. Fino ai 17 anni aveva anche suonato il bandoneón, la fisarmonica che non può mancare in un'orchestra di tango argentina. Poi, però, aveva iniziato a giocare nell'Arsenal de Llavallol: aveva portato la musica sul rettangolo da gioco. Angelillo passa al Racing di Avellaneda, dove segna una doppietta all'esordio. Poi Boca e la Copa América con la maglia dell'Argentina. Nel '57, l'Albiceleste domina la competizione disputata in Perù vincendo cinque partite su sei e battendo 3-0 il Brasile di Didi. Angelillo segna otto reti condividendo l'attacco con Maschio (capocannoniere del torneo con 10 gol) e Sivori.
Un massaggiatore della Nazionale, dopo un allenamento sul campo fangoso, affibbia loro il soprannome che, insieme, si sarebbero portati in Italia: gli Angeli dalla faccia sporca. Sivori va alla Juventus, Maschio al Bologna, Angelillo, con genitori al seguito, all'Inter. Ha solo vent'anni e nella prima stagione in nerazzurro fatica ad ambientarsi. Segna 16 reti, ma ha qualche difficoltà con la lingua. Così si trasferisce in una pensione con Fongaro e Masiero e prepara l'annata più bella della sua vita, la stagione 1958/59.
"Higuaín? Per battere il mio record bisogna giocare a 18 squadre. Fino a 18 squadre il record ce l'ho io". Angelillo fa registrare un primato impossibile anche solo da pensare. Segna 33 reti in 33 presenze. Nella quarta giornata, fa cinque gol alla Spal in 69 minuti. Domina, non solo in area di rigore: è un giocatore totale, tanto che Gianni Brera si chiede come sia possibile continuare a certi ritmi senza morire. "Giocava in difesa, a centrocampo e in attacco. Segnava e costruiva gioco. A quel ritmo qualsiasi fenomeno avrebbe finito per uccidersi", scrisse GioanfuCarlo ne "Il mestiere del calciatore". Classe pura e fiuto del gol, l'Angelo dalla faccia sporca fa innamorare la Milano nerazzurra. Ma il matrimonio tra Angelillo e l'Inter si interrompe bruscamente, all'improvviso. Ma l'amore no, perché gli amori veri non finiscono mai.
Antonio gira l'Italia, prima da calciatore e poi da tecnico, allenando soprattutto nelle categorie minori, anche tra i dilettanti. Nel suo girovagare, passa da Brescia, tra il '75 e il '77, dove dà fiducia ai giovani Altobelli e Beccalossi, che di lì a poco sarebbero passati all'Inter. Dopo Brescia, va a Reggio Calabria e Pescara. Nel 1978/79, col Delfino appena retrocesso in B, l'Angelo dalla faccia sporca si rende protagonista di un'incredibile e rocambolesca promozione in Serie A, conquistata dopo un mitico spareggio giocato a Bologna contro il Monza. Una vittoria per 2-0 passata alla storia per i 40mila tifosi pescaresi al seguito ed evocata dai primi versi di "Evviva Pescara", l'inno della squadra abruzzese.
Ma si è detto che i veri amori non possono avere una fine. Antonio Angelillo, conclusa la carriera di allenatore, diventa osservatore dell'Inter per il Sudamerica. E in questa veste, con lo stesso fiuto che ebbe Giulio Cappelli quando lo vide giocare, segnala alla società nerazzurra un giovane calciatore argentino, che milita nel Banfield ed è stato soprannominato da Víctor Hugo Morales "el Tractor". Si trattava di Javier Zanetti. Era l'inizio di un'altra leggenda.
Davide Zanelli