ÉVER BANEGA, IL "10" NELLA TESTA

MondoFutbol.com racconta la storia del centrocampista rosarino che ha deciso con le sue giocate l'ultimo match del 2016 contro la Lazio

MILANO - Il 2016 nerazzurro si è chiuso con una serie di lampi di Éver Banega. Sua la rete con una grande conclusione da fuori, suo l'assist, preciso e furbo, per Mauro Icardi che ha definitivamente chiuso il match di fine anno contro la Lazio, a San Siro. Suoi, tutti suoi, gli applausi che Éver Maximiliano David Banega si è andato a prendere sotto la curva e poi da tutto lo stadio, da quei tifosi che hanno saputo riconoscere la qualità del giocatore argentino nelle giocate decisive all'interno di un secondo tempo tutto rosarino, vista poi la distinta delle segnature che riassumono il match (anche Icardi è nato a Rosario). Quelle stesse giocate hanno impreziosito il gioco del Siviglia che nelle due passate stagioni ha vinto due Europa League, con Éver eletto miglior giocatore di entrambe le finali.

Le finali, le gare decisive, le ha sempre segnate con questa sua qualità, Banega. Fin da giovanissimo. Nell'estate del 2007 vinse la Copa Libertadores col Boca Juniors, ricevendo la benedizione di un autentico totem del calcio sudamericano, Juan Roman Riquelme: "Ringrazio tutti per gli elogi che mi riservate, ma avete visto che partite ha giocato quel diciannovenne in mezzo al campo?" e l'ammirazione di un grande tifoso "xeneize" e super appassionato di calcio argentino come Roberto Baggio.

Nello stesso anno, è suo l'assist per Sergio Agüero nella finale del Mondiale under 20 che l'Argentina avrebbe vinto penando più del dovuto contro la Repubblica Ceca: la gara virò proprio dopo quel colpo di piatto, quel passaggio in profondità di Banega per il Kun che davanti alla porta non poteva sbagliare. Un assist fornito da Éver che in quel Mondiale aveva già gli occhi di tutta l'Argentina addosso (negli allenamenti aveva più giornalisti al seguito di Agüero e Di Maria, le altre superstar della squadra) e il numero 5 sulla schiena. Un numero che da quelle parti appiccicano al ruolo di "mediocentro", una posizione storica del fútbol rioplatense, evolutosi negli anni, ma che prende spunto dai grandi costruttori di gioco dei tempi passati, reso glorioso da Nestor "Pipo" Rossi, il grande 5 della "Máquina", la squadra del River Plate che negli Anni Quaranta non solo vinceva ovunque, ma proponeva in anticipo sui tempi principi di calcio moderno.

Le sue qualità in prima costruzione si mescolavano e si mescolano alla sua capacità di trovare il compagno davanti alla porta o in posizioni favorevoli negli ultimi sedici metri, letture differenti che però necessitano di una struttura di squadra che gli garantisca opzioni di passaggio e la tranquillità di poter creare. Poi ci pensa lui, e te lo fa con la pulizia e la precisione dei grandi interpreti.

"È un 10 nella testa" ha detto il suo scopritore, Jorge Griffa, il più grande talent scout della storia calcistica argentina dai tempi di Carlos Peucelle e Renato Cesarini. È lui che gli ha proposto di lasciare, da giovanissimo, Rosario e il Newell's, la squadra del cuore di Banega, per Buenos Aires e il Boca Juniors, dove sarebbe diventato grande e nel giro di tre anni il Valencia avrebbe spesso quasi trenta milioni di dollari per il suo cartellino. "Eppure - disse ancora Griffa - la cosa che più mi colpì di Banega, fin dalla prima volta che lo vidi, non era la qualità tecnica ma la sua mentalità: con questa, soprattutto, è arrivato a imporsi".

Una mentalità che prevede lavoro sul campo e poche parole. Molte, spesso a vanvera, ne sono state spese sul suo ruolo, nessuno, per fortuna, ha messo però in dubbio le sue qualità tecniche, ma Banega non se n'è mai curato troppo: la sua verità si palesa sul prato verde e col pallone tra i piedi. Nel polpaccio destro, sotto l'emblema del suo amato Newell's, c'è una inequivocabile scritta che recita: "Solo Dios me entiende". L'Altissimo, e lui solo, lo capisce per davvero. Come vivesse davvero in un'altra dimensione. Dal punto di vista calcistico è assolutamente così, e i tifosi interisti che si stanno innamorando di questa unicità arrivata a San Siro quest'estate, lo hanno già capito benissimo.

Carlo Pizzigoni


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