PAULO SOUSA, RITRATTO DI UN ALLENATORE PORTOGHESE

Viaggio con MondoFutbol.com attraverso la storia degli allenatori portoghesi, antichi "navigatori" capaci di tutto

MILANO - Iniziarono a solcare i mari nel Trecento, i portoghesi. Loro, alla periferia dell'Europa, si aprivano in questo modo al Mondo. Avrebbe incontrato popoli, culture, modi di pensare totalmente differenti. Non hanno mai smesso di andare in giro per il mondo, i portoghesi. Con la caduta del regime autoritario e isolazionista di Antonio Salazar, il viaggio riprende. La Rivoluzione dei Garofani del 1974 cancella l'Estado Novo per far nascere un portoghese nuovo, che è poi quello di sempre, bramoso di conoscenza, solo incrocia di differente, rispetto ai grandi navigatori effigiati nel Monumento alle Scoperte in riva al Tago, il secolo della modernità, il Tardo Novecento. Pensano in maniera diversa, i portoghesi. E viaggiano.

Gli allenatori di calcio nati in Portogallo sono oggi in tutto il mondo, e trascinano con loro una esigenza di modernizzare, di pensare nuovo. All'Inter, José Mourinho, l'Uomo del Triplete, ha palesato nel modo più evidente questo approccio. Ad Appiano Gentile ha fatto vedere cose nuove, come cose nuove ha mostrato in campo e davanti ai microfoni. Solo contro tutti, come un novello Vasco da Gama, a cui nessuno inizialmente dà retta, ma è poi capace di un'impresa, di diverse imprese che resteranno per sempre nella storia del gioco. Anche Paulo Sousa è passato dall'Inter, un passaggio fugace dove non sono mancate le buone partite ma la parabola calcistica del giocatore volgeva già verso il declino, quasi si stesse preparando per il nuovo ruolo di tecnico, lui che dal centrocampo è sempre riuscito a dare equilibrio  in campo, a cucire gioco.

E quell'idea di calcio collaborativo, di scambi brevi gli è rimasta dentro anche da allenatore. Un nuovo ruolo che ha interpretato subito con lo spirito di Enrico Il Navigatore, la figura chiave della Dinastia degli Aviz, l'uomo che incoraggia e sostiene l'era delle esplorazioni geografiche del Regno del Portogallo: non a caso forse, un monumento che lo ritrae è al centro della piazza principale di Viseu, la località dove Paulo Sousa è nato. Paulo viaggia, apprende, mastica e digerisce diversi tipi di calcio: prima l'Inghilterra, poi l'Ungheria, Israele e la Svizzera, al Basilea da dove prende il trampolino per l'Italia e comincia a Firenze un progetto nuovo.

La proposta differente inizia dai contenuti nei rapporti coni media. Mai banali, sempre profondi e con il calcio, il campo da gioco come unica stella polare. Toni pacati, ma pensieri forti. La sua Fiorentina è da subito una squadra tatticamente molto lavorata. Ricerca l'ampiezza, per liberare lo spazio tra le linee: la profondità si ottiene così come una naturale conseguenza. Alterna diversi sistemi di gioco, una difesa a tre o a quattro, organizza movimenti 'ad inganno' per farsi attaccare in determinati luoghi del campo perché è sempre pronto a sorprendere con altre mosse, ma alla base rimangono sempre gli stessi principi.

"Principi di gioco" è probabilmente la locuzione più utilizzata da Paulo Sousa nelle sue interviste calcistiche italiane. Quelli contano, non altro. È una modalità moderna di vivere e parlare di calcio. Che viene da lontano. Da antichi navigatori capaci di tutto, contro vento, tempeste, scarsa considerazione e avversità. Uomini coraggiosi dalla mente libera e aperta. Come Paulo Sousa. Portoghesi, appunto.

Carlo Pizzigoni


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