HERBERT PROHASKA, ALLEGRIA (E FANTASIA) AL POTERE

Un tuffo nel passato con MondoFutbol.com, che ci racconta la storia del talento austriaco grande ex di Inter e Roma

MILANO - Il primo straniero. Dopo quattordici anni di autarchia calcistica. Nel 1980 la Serie A riapre le porte ai giocatori nati all'estero e l'Inter, fresca vincitrice dello scudetto, punta per l'unico "posto" disponibile in rosa su un ragazzo austriaco di 25 anni. Si chiama Herbert Prohaska, ma tutti a Vienna e dintorni lo chiamano, in dialetto, Schneckerl, per via della cascata di capelli lunghi e mossi che ha in testa. Look a parte, è un regista dalla finissima visione di gioco e dai piedi educatissimi. In più ha esperienza internazionale da vendere. 

Suo padre, un manovale tifoso del First Vienna, l'ha portato su un campo di calcio a quattro anni per guardare una partita e dopo qualche minuto già rincorreva il pallone. Un segno. 

Nell'aprile 1972 a meno di 17 anni, mentre gioca per lo Sportclub SC Ostbahn XI, squadra di Simmering, il suo quartiere, di cui il padre è anche l'allenatore, Herbert fa ammattire in un'amichevole la difesa della Nazionale austriaca. Dopo qualche mese giocherà con e contro qualcuno di loro perché lo acquista l'Austria Vienna, lui che da bambino simpatizzava prima per il Rapid poi per il First. La maglia dei Veilchen diventerà la seconda pelle di Prohaska, insieme alla casacca della Nazionale. Con il club vincerà titoli su titoli e raggiungerà una finale di Coppa delle Coppe nel 1978 (persa 4-0 con l'Anderlecht e definita dal giocatore "la più grande delusione della mia carriera"), con la Nationalmannschaft segnerà gol importanti e giocherà due Mondiali: nel primo, in Argentina nel '78, si toglierà la soddisfazione di mettere k.o. i cugini tedeschi.

Herbert ha quel talento speciale che attira più del miele le grandi api di metà Europa, e a fine anni Settanta piovono offerte in casa Austria Vienna, soprattutto dall'Inghilterra e dall'Olanda, ma lui vuole altro. Un contratto migliore e un grande club, come l'Inter. 

La trattativa, con le frontiere del calcio italiano formalmente ancora chiuse, produce, come ricordato dallo stesso Prohaska, scenari da spy story. Incontri segreti in albergo, offerte sussurrate, ma il sì arriva quasi subito. 

Su Herbert, cui è affiancato prontamente il tecnico Nello Di Martino, allora (come oggi) all'Hertha Berlino e cresciuto nel Settore Giovanile nerazzurro, le aspettative sono tante. Lui le soddisfa quasi in toto. Anche se ci vuole tempo per adattarsi a un tipo di calcio molto differente. 

L'idea di football di Prohaska è diversa da quella del tecnico Bersellini, ma trovano una via comune: l'austriaco si esalta nella costruzione del gioco, ha grandi qualità di passatore e sa condurre la sfera con eleganza imperiale. Grazie al 'Sergente di ferro' di Borgo Val di Taro in panchina, si moltiplicano pure i tackle e i recuperi palla.

Il connubio trascina l'Inter in semifinale di Coppa dei Campioni nel 1981, dove nel ritorno con il Real Madrid l'austriaco è frenato da un palo rimasto nella memoria dei tifosi nerazzurri, e porta alla vittoria di una Coppa Italia nel 1982. Quello che si guadagna, oltre al soprannome 'Lumachina' (nato anche da un equivoco linguistico Schneckerl assomiglia molto a Schnecke, lumaca), è l'affetto dei tifosi. Tra di loro uno molto speciale, Adriano Celentano. Che un giorno al ristorante chiede a Prohaska, grande appassionato di musica, un autografo. 

Dopo il Mondiale '82 Schneckerl è ceduto alla Roma di Nils Liedholm. Ci rimane solo un anno, ma scrive la storia, vincendo lo scudetto accanto a Paulo Roberto Falcão e Carlo Ancelotti. È così innamorato della città che progetta di trasferirsi insieme all'amata moglie Elisabeth nella Capitale a fine carriera, anche se poi cambia idea.

Nel 1983 tornerà a casa, all'Austria Vienna, dove giocherà fino al ritiro, entrando direttamente nella leggenda del club più titolato del Paese.

In Italia ci torna spesso e una volta la incrocia anche nel suo ruolo di CT dell'Austria, a Francia '98. Perderà 2-1 e saluterà il suo vecchio amico, Giuseppe Bergomi, colonna degli azzurri in quell'occasione, cui il 10 gennaio 1982 aveva servito l'assist per il 'suo' (dello "Zio") primo gol in Serie A. Nel 2004 l'ultima soddisfazione, la nomina a calciatore austriaco del secolo. 

Tutti d'accordo, meno uno. Suo padre. "Herbert sei super, ma Matthias Sindelar (il mito del calcio austriaco degli anni Venti e Trenta) era decisamente meglio di te". 

Prohaska ha sorriso, come fa sempre. Anche ricordando le sue città italiane e i suoi club. Dove i tifosi lo hanno amato proprio per quella leggerezza ed eleganza presentate nel rigore e nella professionalità, che giusto un erede di Maria Teresa d'Austria può avere.


Roberto Brambilla 


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