OSVALDO BAGNOLI, UN MILANESE DELLA BOVISA ALL'INTER

Educato, rispettoso, competente e genuino: MondoFutbol.com racconta Osvaldo Bagnoli, il mago della Bovisa

MILANO - Di uomini come l'Osvaldo Bagnoli della Bovisa, nel mondo del calcio ce ne sono sempre stati pochi. Educati, rispettosi oltre che competenti, genuini senza trascendere. Popolare ma dai modi ieratici, in definitiva, vero, come quello che è stato il suo quartiere milanese. La Bovisa, quella raccontata da Giovanni Testori e poi messa in pellicola da Luchino Visconti: fabbriche, nebbia e umanità. Come quella dell'Osvaldo, uno che rimarrà nella storia del calcio non solo per l'irripetibile scudetto dell'Hellas Verona, nel 1984-'85. Perché rimarranno il suo modo di essere, di vivere il gioco, che rimane proprietà della gente, sempre. Un filosofo, l'Osvaldo tanto da essere soprannominato Schopenhauer dal grande Gianni Brera, che scrisse su Repubblica: "Conoscendo sempre meglio Bagnoli, mi esaltai battezzandolo Schopenhauer, grande filosofo pessimista. Bagnoli legge e sa chi sia Schopenhauer". E proprio per questo, senza bisogno di consultare la garzantina, sapendo della grandezza del pensatore tedesco, l'Osvaldo si schernì.

Una umiltà che si univa all'intelligenza anche quando si trattava di disegnare una squadra di calcio e tenere uno spogliatoio. Dopo una carriera da calciatore iniziata all'Ausonia, storico club milanese, e proseguita al Milan, dove non ebbe fortuna e fu costretto ad emigrare in provincia, l'Osvaldo prova diventare allenatore. A Solbiate prega il suo presidente di accomodarsi alla porta, dopo che questi era entrato fumando tracotante tra i suoi ragazzi: viene ipso facto cacciato, ma senza necessariamente sbandierarli, sui principi Bagnoli non transige. Irrorati da questi, diventa tecnico vincente a Verona per poi passare al Genoa, dove per assecondarli, quei principi, non ha paura di sfidare parte della tifoseria, all'inizio, al termine di una gara chiusa con l'eliminazione dalla Coppa Italia per opera della Roma.

L'Osvaldo va avanti, e nel 1991 costruisce un gruppo solido attorno a Signorini, Torrente, Branco e grazie alla coppia Skuhravý-Aguilera porta i rossoblù al quarto posto in Serie A, il miglior risultato del Grifone nel Dopoguerra, al termine di una stagione straordinaria, culminata con la vittoria sulla Juventus e la qualificazione alla Coppa UEFA. E proprio in Europa Bagnoli e i suoi ragazzi scrivono la Storia. Nel marzo 1992 i Grifoni diventano la prima squadra italiana a battere il Liverpool ad Anfield grazie a due gol dell'uruguayano Pato Aguilera e alle parate di Simone Braglia.

Cinque mesi dopo lascerà Genova per la sua Milano. L'Inter lo chiama per ricostruire una squadra dopo l'annata complicata e controversa vissuta con Orrico. C'è bisogno della milanesità laboriosa di un uomo vero come l'Osvaldo, che edifica una struttura partendo dal talento di un'altra anima uruguayana, Ruben Sosa: lavora bene e, al solito, con la serietà necessaria, spende il tempo necessario a trovare la quadratura, ma poi rimonta il Milan di Capello. Parte sotto di undici punti in classifica (e solo due punti per la vittoria) e arriva a giocarsi le speranze di titolo nel derby, pareggiato a causa di un errore individuale, ma condotto con dignità e spirito positivo, valori finalmente riassaporati dai tifosi dell'Inter, in quei tempi non facili.

Nel football non contano solo i titoli, con Bagnoli si celebra il tecnico e l'uomo: il calcio riempie il cuore anche così. Un orgoglio, avere visto vestito di nerazzurro anche l'Osvaldo, il mago della Bovisa.

Carlo Pizzigoni


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