STEFANO PIOLI, INTERISTA E ALLENATORE

In collaborazione con MondoFutbol.com un ritratto di Pioli: da tifoso tredicenne a tecnico dei nerazzurri

MILANO - Il campo. All'interno di esso, Stefano Pioli, il nuovo tecnico dell'Inter, ha voluto circoscrivere tutta la sua professione di calciatore serio prima e di tecnico preparato poi.
Tutto in quel rettangolo verde. Anche oggi che ha smesso i pantaloncini per la tuta intera, fischietto in bocca e tabelle in mano. Pensare a come migliorare i propri giocatori, elaborare nuove strategie per mettere in condizione i suoi ragazzi di rendere al meglio, riconoscere come solo lì, nel campo, e solo grazie al lavoro la squadra può raggiungere risultati e obiettivi.
Pioli ama parlare del calcio che riguarda il campo.

Durante la stagione 2010/11, la seconda di Pioli su una panchina di serie A, raggiunta dopo una lunga gavetta iniziata negli Allievi del Bologna (con la vittoria dello scudetto di categoria, nel 2001) e passata dall'esordio in massima serie col Parma, la squadra della sua città natale, gli viene fatta notare una situazione di gioco in TV. Federico Buffa, dagli studi di Sky, osserva come il Chievo, comandato in panchina dall'attuale tecnico nerazzurro, abbia prodotto un paio di giocate cieche, prima di ottenere la segnatura. Tutto preordinato, tutto organizzato in allenamento e poi riprodotto in gara. È la soddisfazione più grande per l'allenatore Pioli, la celebrazione del suo lavoro. Tutta vissuta dentro un campo di gioco, a lavorare.

Gia prima dei trent'anni aveva capito che la sua strada sarebbe proseguita con una tuta addosso, e da giocatore ha iniziato a studiarlo, quel mestiere di allenatore, il più affascinante e complicato del mondo del calcio. Comprende subito tutto il fardello del compito, una fatica che Stefano decide subito di accettare lasciandosi immediatamente affascinare da quel ruolo
Conquista con la forza delle idee la credibilità, anche se i primi ad osservare le sue indicazioni sono solo ragazzi, a Bologna, poi a Chievo, prima del debutto sulla panchina dei grandi a Salerno, nel 2003, in Serie B. Dove mostra immediatamente la volontà di ricerca di un efficace equilibrio tattico di squadra, secondo la più rinnovata scuola italiana di calcio, fatta di attenzione alla fase difensiva ma che non disdegna mai il talento offensivo, massaggiato con cura e messo in condizione di essere sempre letale.

Così, di proposta in proposta, per tutta la carriera, arrivata fino alla qualificazione del preliminare di Champions League, nel 2015 con la Lazio, dove gioca un calcio che ricerca con continuità la vittoria, che giunge ben 21 volte in stagione, un numero inferiore solo a quello della Juventus campione d'Italia, incontrata poi in una finale di Coppa nazionale dove solo un clamoroso doppio palo di Djordjevic nei supplementari gli nega la meritata vittoria. L'esperienza romana convince tutti gli addetti ai lavori che Pioli merita la chance della chiamata di una grande squadra, anche perché ha palesemente dimostrato di avere la capacità di gestire il talento che il DS Igli Tare gli aveva messo a disposizione. E sulla qualità, che oggi il mister ritrova nella profonda e competitiva rosa dell'Inter, Pioli punta molto della sua proposta offensiva, senza mai rinunciare alla ricerca di una precisa identità collettiva.

Stefano trova quella identità, nelle ripetute prove in allenamento, in quel campo che da sempre è stato la sua vita. Fin da quando, bambino tredicenne, si era seduto col papà in tribuna e dentro ci aveva visto le maglie nerazzurre, in un lontanissimo Bologna-Inter allo stadio Dall'Ara. L'Inter aveva vinto e Stefano aveva gioito con tutta la famiglia, fieramente interista. Oggi Pioli la indossa, quella sacra divisa. E nel campo, Stefano sa sempre cosa fare.

Carlo Pizzigoni


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