MILANO - Nel tardo pomeriggio del 29 giugno del 1958, il Brasile diventava per la prima volta Campione del Mondo, sfatando l'atavico tabù che li voleva sempre sconfitti nelle gare decisive (il Maracanazo, sopra tutte): il Gigante si era finalmente svegliato e avrebbe da lì in avanti comandato il mondo del calcio.
Nel cielo di Stoccolma, il capitano della Seleção finalmente vittoriosa alzava la Coppa Rimet, con le braccia entrambe tese, costruendo in questo modo una forma di festeggiare che sarebbe servita come modello per tutti, nei tempi a venire. Quel capitano si chiamava Bellini, ed è stato un grande difensore centrale, cresciuto nel Vasco e poi trasferitosi al San Paolo. I difensori del Brasile hanno sempre avuto doti di leadership, ma non sono nati in quel meraviglioso paese, "o Pais do Futebol", per caso: la propria carriera doveva e dovrà sempre obbedire al comandamento del "jogo bonito", una locuzione, inventata, anni più tardi da Didi, ennesimo fuoriclasse verde-oro, lui pure protagonista di quel Mondiale del 1958.
Da Bellini a João Miranda, entrambi capitani brasiliani (con o senza fascia, nel Brasile di oggi col CT Tite è diventata "itinerante"), entrambi difensori da "jogo bonito". Non secondo il canone maggiormente riconosciuto da questa abusata espressione, ormai celebrata pure dal marketing, ma secondo uno spirito del gioco che il difensore ha interiorizzato da sempre, trasudandone l'essenza. Né Bellini né Miranda erano e sono velocissimi, ma l'intelligenza di gioco gli permetteva e gli permette di muoversi con anticipo rispetto ai rivali, e di essere sempre al posto giusto. Appaiono quasi magicamente, freschi, puliti ed eleganti e non hanno bisogno di tackles scivolati in extremis, perché il loro QI calcistico ha prodotto una lettura che li ha portati a muoversi a tempo. Perché hanno capito, meglio e prima, il gioco, e ogni loro chiusura rimane un omaggio alle Muse che rispondono ad Eupalla, la breriana dea del fútbol.
Bellini chiude la carriera al Clube Atlético Paranaense, a Curitiba. Esattamente la città dove è invece iniziata quella di Miranda, che però si è subito, a parte una fugace esperienza giovanile a Londrina, vestito col bianco-verde del Coritiba, l'altra squadra della capitale del Paraná. In Europa, João ci arriva presto, come fosse la solita chiusura eseguita in anticipo, ma al Sochaux non è una stagione facile. Come tutte le persone di intelligenza superiore, Miranda trasforma le situazioni di difficoltà in opportunità per crescere. In Francia si disimpegna in una difesa a quattro, riconosce modi e ritmi di gioco differenti. Impara. E bene.
Torna a casa, in Brasile, ed è ingaggiato dal San Paolo. Ricoprendo il ruolo che era stato proprio di Bellini, che si era trasferito nella capitale paulista per sostituire Mauro Ramos, altro capitano della Seleção che avrebbe alzato la Coppa Rimet, nel 1962 in Cile. Altro difensore, quindi. Nel San Paolo, Miranda vince tre campionati consecutivi e fa innamorare la gente, specie quella col palato fine, che sa riconoscere e celebrare l'intelligenza e l'eleganza di un grande difensore. Un'eleganza che non può abbandonare João nemmeno quando diventa protagonista con una squadra di lotta come l'Atletico Madrid del "Cholo" Simeone.
Poi ecco la scelta dell'Inter. Maglia pulita, qualità superiore. Una freschezza nell'espressione del viso che tranquillizza tutti, compagni di reparto, tecnici e tifosi della Beneamata, dove prontamente è diventato uno dei giocatori di riferimento. E all'Inter, nel tempio del "Giuseppe Meazza" in San Siro, dove il palato fine lo hanno allenato, uno come lui, come João Miranda, intelligenza al servizio del "jogo bonito", ci sta davvero bene.
Carlo Pizzigoni