MILANO - Anche quest'anno riparte su Inter Channel il programma Memorabilia. Ospite della prima puntata è Walter Zenga, storico portiere della nazionale e soprattutto dell'Inter con cui ha collezionato 473 partite in 12 stagioni: "L'Inter è indubbiamente il club della mia vita, ho avuto la fortuna di nascere, tifare e giocare nel club nerazzurro onorando questa maglia per ben 473 volte".
"Devo molto al mio primo allenatore, Giannino Radaelli. Mi ha insegnato il rispetto e l'educazione. Non cose semplici da tramandare, ma ti fanno capire che quello che stai facendo può essere utile per il resto della tua vita".
Il percorso di Walter Zenga inizia con un tour di tante piccole squadre: "Nel 1979 i giocatori della primavera venivano mandati in prestito, mi arrivò una telefonata e mi trovai sotto la sede dell'Inter con un biglietto per Napoli destinazione finale Salerno. Dopo di che sono andato a Savona e successivamente a San Benedetto del Tronto".
Dopo quattro anni di gavetta, torni all'Inter e diventi subito titolare: "Quell'anno ero il secondo di Bordon, e dopo qualche buona prestazione giocai la Coppa Italia e il Mundialito. A 23 anni diventai titolare con Radice in panchina. Anno dopo anno, in quella squadra, diventavamo sempre più forti anche perche molti di noi venivano dal settore giovanile, come ad esempio, oltre a me, Baresi, Bergomi e Ferri. Allora c'era un numero limitato di stranieri, per noi italiani era più facile sentirsi parte del club. Poi i tempi cambiano, e come oggi, si seguono altre strade".
Nell'estate dell'1988 poi, inizia una stagione molto particolare: "Dopo le Olimpiadi di Seul, che di fatto fecero slittare il campionato ad ottobre, l'inizio per noi non fu dei migliori. L'anno precedente volevo andare via dall'Inter ma prima di un derby perso 1-0 decisi di rinnovare. Quello è stato un campionato pazzesco, su 34 partite mantenni la porta inviolata per ben 21 volte. Avevo dei compagni di squadra che erano dei veri campioni. E' stata una stagione incredibile, quest'anno non è paragonabile a nessun'altro".
Poi la Uefa vinta nel 1991 dove, dopo la grande Inter, i nerazzurri tornano finalmente a trionfare in Europa giocando una finale contro la Roma tutta italiana: "Erano tanti anni che non vincevamo, anche in quella stagione abbiamo preso pochissimi gol. Sentivamo sin dall'inizio la possibilità di vincere la coppa. Mi ricordo la prima partita giocata contro il Rapid Vienna sul neutro di Verona, all'ultimo minuto riesco a fare una doppia parata che ci mantiene in corsa. Avevamo la consapevolezza di poter vincere quel trofeo".
Nel 1993-1994, una delle stagioni più strane della storia dell'Inter: "In quell'anno volevamo sempre vincere ma alla fine perdevamo molto spesso. Nella Coppa Uefa le cose andarono decisamente meglio che in campionato. Mi ricordo grandi vittorie come a Dortmund, la doppia sfida contro il Cagliari e la finale vinta contro il Salisburgo. In campionato fu davvero difficile, alla fine ci trovammo a lottare per non retrocedere".
Quando hai iniziato la carriera da allenatore negli Stati Uniti, pensavi di poter arrivare a questo punto?: "Presi l'esperienza americana come opportunità. Proprio ieri parlavo con un mio collaboratore e pensavo che oggi devo pensare innanzitutto alle opportunità, non ai contratti. Dopo due mesi che allenavo negli Stati Uniti sono tornato a fare il giocatore, grazie alla MLS facendo il player-manager. Queste esperienze difficili per questioni linguistiche e culturali, mi hanno permesso di essere una persona che non porta invidia per nessuno e che riesce a guardare le cose in maniera differente rispetto a come le guardavo prima".
Ancora due passi indietro, la finale di Coppa Uefa vinta contro il Salisburgo che ha sancito la tua ultima partita in maglia nerazzurra: "Non esisteva un modo migliore per dirsi addio. Sapevo da tempo che la Sampdoria era interessata a me, mi telefonò Mancini. Mi ricordo come se fosse ieri, entrai in campo nel pre-partita e tutto lo stadio iniziò ad urlare il mio nome. Questo mi diede la giusta carica per giocare un grande match. Da quella partita sono uscito da vincitore, riuscii a parare qualsiasi cosa".
Poi la Sampdoria, con Pagliuca che fece il percorso inverso rispetto al tuo: "Io a quell'epoca ero in cadere, Pagliuca era una giovane promessa. Non la presi bene, non mi era piaciuto come andarono le cose. Poi con il tempo me ne sono fatto una ragione, da allenatore ho dovuto fare delle scelte simili. Le esperienze negative devono essere metabolizzate e tramutate al fine di produrre delle positività".
L'ultima domanda va inevitabilmente alla panchina dell'Inter che chissà in futuro potrebbe essere tua: "Ho avuto delle opportunità di allenare squadra in italia che però probabilmente non mi hanno dato la possibilità di essere preso in considerazione per allenare l'Inter. Detto ciò, questo pensiero rimarrà per sempre nella mia testa, ma credo che il tempo giusto sia ormai passato".