MILANO - Tutto è iniziato contro la Vecchia Signora. E forse doveva essere un segno. Domenica 28 novembre 1909, "Arena Civica" di Milano. L'Inter, nata da poco più di un anno e mezzo, incontra la Juventus per la quarta giornata della Prima Categoria, la massima serie calcistica italiana che per la prima volta si gioca con la formula del girone unico (abbandonata l'anno successivo e ripristinata definitivamente nel 1929, anno in cui il torneo assume anche la denominazione ufficiale di Serie A). I nerazzurri, alla seconda partecipazione al campionato dopo l'annata d'esordio chiusa con due sconfitte, non hanno cominciato bene neanche la stagione 1909-1910. Anzi.
Sono penultimi e hanno un punto in classifica, frutto del pareggio al debutto nel derby cittadino con i rossoneri dell'Ausonia e di due ko, un 4-1 in casa contro la Pro Vercelli, l'unica squadra non di Milano, Torino e Genova tra le nove partecipanti, e un 2-0 in trasferta con la Juventus con una doppietta di Ernesto Borel, primo marcatore della Vecchia Signora nella storia del derby di Torino e futuro padre di Felice Placido, campione del mondo nel 1934 con l'Italia di Vittorio Pozzo. Ed è proprio Borel "senior" a guidare i bianconeri, nelle parti alte della classifica, nella sfida dell'Arena, lo stesso impianto che nel 2002, quasi 100 anni dopo, sarà intitolato a Gianni Brera, l'uomo che nel 1967 trasformò Inter-Juventus nel "derby d'Italia".
Un incontro, a sole due settimane dal primo match (il concetto di girone d'andata era di là da venire), in cui l'Inter, anche se in crescita, si presenta da sfavorita. I nerazzurri si fondano su due blocchi. Da un lato quello svizzero formato tra gli altri dal centrocampista Ernest Peterly, dal difensore Alfredo Zoller e dal portiere Muller, per la maggior parte cittadini elvetici che trovandosi a Milano per lavoro non vogliono perdere la passione per il football. Dall'altro un nucleo tutto italiano: il centrocampista con il vizio del gol Giovanni Capra, il secondo portiere Piero Campelli, per molti l'inventore della 'presa', l'oriundo Ermanno Aebi, il difensore Mario Moretti e soprattutto lui, Virgilio Fossati. Ha 20 anni (secondo altre fonti 18), ma è già il capitano e l'anima dell'Inter. Fa il regista ed è anche membro della commissione tecnica che gestisce la squadra, in altre parole un leader. Ed è proprio Fossati, il primo idolo dei tifosi interisti, a condurre l'undici milanese, per l'occasione in un'inedita maglia rossoblù. Tocco di palla, passaggi, tiri, tanto che la "Gazzetta dello Sport" di quella prestazione scrisse: "Sembrava che la palla avesse per lui delle speciali simpatie, tanto egli riusciva destramente a sottrarla all'incalzare e al sopravvenire degli avversari".
Ma non è solo Fossati a giocare bene. Tutta l'Inter offre un'ottima prestazione e solo la bravura del portiere bianconero Pennano mantiene lo 0-0. Al 37° però il risultato si sblocca. Cross di Bernard Schuler (che aveva più volte sfiorato la rete) e tocco da pochi passi di Oscar Engler, difensore con un certo fiuto per il gol. Per lui, svizzero come il compagno e con trascorsi nel prestigioso San Gallo, è una rete che vale doppio, perché aveva indossato la casacca del Torino, prima di passare all'Inter.
Un timbro, il secondo in stagione, che deciderà il match. Nella ripresa l'Inter lotta, il suo estremo difensore para ciò che deve (non molto, secondo le cronache dell'epoca) e resiste così agli assalti della Juventus. È una vittoria storica, la prima in Serie A dell'Inter e darà il via a una cavalcata incredibile. 11 successi consecutivi e uno scudetto, il primo del club nerazzurro. Nessuno di loro, tranne Aebi e Campelli, vincerà più un campionato e Virgilio Fossati non vedrà neppure il secondo scudetto dell'Inter datato 1920: morirà nel 1916 combattendo come valoroso ufficiale nella Prima Guerra Mondiale.
Roberto Brambilla