MILANO - Il gesto tecnico è dei più semplici - un tocco sottomisura a portiere battuto - ma certi gol non possono essere cancellati. Nemmeno se il giudice sportivo si vede costretto a riscrivere il risultato finale in sede legale. Timbrare il cartellino a pochi minuti dall'ingresso in campo resta un'emozione indelebile. Un'emozione che Rei Manaj, al primo anno a Pescara, aveva già vissuto nel giorno del suo esordio in Nazionale. Un qualcosa capace di sciogliere quella maschera da ragazzo ribelle che aveva accompagnato l'albanese nei primi assaggi di calcio italiano, di restituirlo ad una dimensione più tangibile, intima.
"Lo dedico alla mia famiglia", disse allora stringendo la maglia kuq e zi. Quella famiglia, interista nel sangue, con cui a cavallo degli anni zero lasciò la patria natia, colpita da una pesante crisi finanziaria e da una guerra civile, retaggio del fallimento su larga scala dello schema Ponzi innescato dall'allora presidente Sali Berisha. Il Belpaese come terra di un riscatto che il piccolo Rey ha trovato in un crescendo di emozioni, secondo un percorso lineare, minato giusto da qualche sorvolabile passaggio a vuoto: dalla delusione dei provini con Atalanta e Milan alle gioie di Piacenza, fino all'esperienza con la Cremonese, che ha segnato la svolta del Manaj calciatore. Nel capoluogo lombardo è decisivo l'incontro con Gigi Simoni, altro cuore nerazzurro. 'È un ragazzo già pronto moralmente al successo.
"Non ha timori e ha grande fiducia nei propri mezzi, ma proprio per questo bisogna farlo stare con i piedi per terra. Ha una forte personalità che, a volte, lo porta ad essere quasi scontroso", aveva raccontato il tecnico di Crevalcore ai microfoni di MondoFutbol.com. Tenacia, autostima e ambizione sono le prerogative del predestinato, come tale l'ha definito il ct dell'Albania Gianni De Biasi, che ne ha saputo apprezzare la maturità nell'ammettere i propri sbagli, nel chiedere scusa e (ri)mettersi sempre in gioco. Come si dice nel gergo di campo, farsi trovare sempre pronto.
Tutti segni condivisi con il compagno di squadra, Gianluca Caprari, anch'egli subito in gol con il Delfino. E il figlioccio di Roma, fenomeno di velocità, lo è stato fin da piccolo, quando calpestava la pista dell'Olimpico come raccattapalle. Fu lui, infatti, a posizionare sulla lunetta del corner la sfera appena raccolta, consentendo alla coppia Taddei-Mancini di sorprendere la difesa del Palermo e portare a casa i tre punti, utili per tenere viva la corsa allo scudetto contro la prima Inter del Mancio.
La stessa scaltrezza usata per vincere il campionato Allievi e quello Primavera con i giallorossi (nel primo caso sotto la guida di Andrea Stramaccioni), guadagnarsi la stima di Montella prima e Luis Enrique poi, ed esordire in Coppa Italia con l'Inter, prossima avversaria in Serie A, sempre sul suo cammino. A distanza di anni, rotto il legame con il Colosseo, Gianluca ha conservato le caratteristiche di un tempo: sfrontatezza, giochi di gambe, padronanza della sfera e buon destro. Peculiarità che avevano incuriosito Zeman, quando i due si incontrarono proprio sull'Adriatico nella stagione 2011/12. Il boemo ha levigato qualche spigolo caratteriale e forgiato, soprattutto durante il lavoro settimanale, un diamante che rischiava di restare grezzo, anche a causi di qualche infortunio di troppo.
Ora, però, dopo un Roma-Pescara andata e ritorno, c'è l'Inter. E, dovesse segnare, anche a Milano chiuderanno un occhio e non cancelleranno il gol.
Aniello Luciano