CAMPAGNARO, PALACIO, ALVAREZ: NOTE ARGENTINE

Esordio al Mondiale per l'Albiceleste contro la Bosnia. I tre interisti sono pronti a cambiare la musica: dalla samba brasiliana al tango argentino

MILANO - Se ascoltate bene Aquarela do Brasil, di Ary Barroso, canzone talmente popolare che ancora oggi è associata al Brasile, alla sua cultura, alla sua gioia, noterete una cosa: ci sono tre note musicali che si ripetono. Che guidano il tema principale, lo accompagnano per tutto lo spartito per poi modularsi. Dam, dam, dam. Dam, dam, dam. Questa canzone l'abbiamo tutti in testa, ma è legata in modo inscindibile al calcio. Ai mondiali in Brasile. Ary Barroso era non solo un musicista, un compositore, un letterato. Ma è stato anche il telecronista di una delle partite più incredibili della storia del calcio: quella del Maracanazo. Della inspiegabile, inaspettata, assurda sconfitta del Brasile, in casa sua, contro l'Uruguay. Era il 16 luglio del 1950 e da allora, tutto un Paese, sta cercando di esorcizzare quel trauma. 

A distanza di 64 anni, molte cose sono cambiate. Persino il Brasile stesso. Che però, al netto delle proteste che si sono già viste nella prima giornata, non ha dimenticato quelle tre note e quella melodia. Dam, dam, dam. Dam, dam, dam. C'è, però, qualcosa, che si potrebbe mettere di traverso in questa melodia che porta dritto alla vittoria. E il pensiero di un nuovo Maracanazo, tra un passo di samba e l'altro, torna alla mente. Soprattutto se, ad ostacolare il Brasile di Hernanes, ci si mettono i rivali storici dei verdeoro: l'Argentina. Altro Paese che ha nella musica, nel tango, una chiave di violino culturale ed esistenziale. Le note dell'Albiceleste sono un crescendo. 

C'è Messi (con il "Si" finale, la nota più alta del pentragramma). Ma ci sono anche il toro di Mòron Campagnaro, Ricky maravilla Alvarez e Rodrigo el trenza Palacio. Interisti e acuti che possono cambiare la storia di un Mondiale. Campagnaro è il "Do", il suono grave, quasi spigoloso. Il difensore che è diventato duro fin da piccolo. Quando a 16 anni si è trasferito a "Baires, nel Deportivo Mòron, perché dalle mie parti non esisteva una squadra di calcio". Il cuore, però, è caldo, accogliente, curioso. Grazie alla famiglia unita, alla chitarra e alle letture. "Mio padre, che ora non c'è più, faceva il difensore. Anche mio fratello Rafael c'ha provato ma senza fortuna. Ora ha aperto un bar. Ho anche una sorel­la, Ana, che fa l'insegnante come mia madre, che cucina divinamente. Mi piace suonare, ma lo faccio solo in casa. Da ragazzo leg­gevo Garcia Marquez, ora non ho più tempo. Mi diletto al computer e prediligo musica rock, quella argen­tina". Musica con giri di Do, come nella chitarra appunto. 

Nel pentagramma celeste c'è anche Ricky Alavrez, la maravilla, come lo chiamano dalle sue parti. Il "Re" nella melodia argentina. Uno che ha "iniziato a giocare a 6-7 anni, con tanti bei ricordi: un bambino in Argentina comincia a giocare nella squadra del suo quartiere, poi se interessi ad un top club vanno a parlare coi genitori". Anche loro sempre vicini a Ricky, al suo primo Mondiale. L'ultima nota, il "Mi", è el trenza, Palacio. Uno che non parla molto ("non è che sono timido, non mi piacciono le interviste"), ma in campo si sente, eccome. Appassionato anche di Basket e amico, tra gli altri, anche di Bruno Cerella: "Sono il suo tifoso numero uno, siamo amici d'infanzia, cresciuti insieme a Bahia Blanca, abbiamo giocato insieme e abbiamo tanti amici in comune". Quando ha del tempo libero gioca come playmaker. Che, del resto, è come un direttore d'orchestra. E cos'altro poteva essere? Ecco, l'Argentina che esordisce contro la Bosnia è questa: una squadra musicale, con tre note di tango nerazzurre, pronte a sostituire quelle di samba. Do, Re, Mi. Do, Re, Mi.


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